Mandalay è una città giovane, fondata solo nel 1857, per essere capitale del paese dal 1861 al 1885. Fu costruita dal re Mindon Min, che identificò la collina a nord della città (Mandalay Hill) come luogo prescelto 2.400 anni prima da Buddha a tal fine. È la seconda città più popolosa del paese (dopo Yangon) e il primo centro religioso (ospita circa il 60% dei monasteri dell’intera Birmania).
Decido di sacrificare la visita al Mandalay Fort, il palazzo reale, perché per quanto scintillante e maestoso, è stato interamente ricostruito in tempi recenti, dopo essere stato distrutto da un incendio nel 1945 durante la seconda guerra mondiale. Il legno è stato sostituito da mura di calcestruzzo e tetti in lamiera, rendendo la struttura meno interessante ai miei occhi; rinuncio, a malincuore, anche alla vista che si gode dalle colline di Mandalay Hill. Entrambi i siti si trovano infatti nel nord della città e ho deciso di esplorare le antiche capitali birmane che si trovano nella periferia a sud.
Con l’amaro in bocca che lasciano sempre i compromessi, inizio quindi la mia visita di Mandalay.
Il Monastero del palazzo d’oro (Shwenandaw Kyaung) è il più bel monastero birmano in legno di teak del paese, l’unico rimasto integro dopo i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale, e anche la struttura che più somiglia al vecchio palazzo reale di Mandalay.
Inizialmente l’edificio fungeva da residenza del palazzo reale di Amarapura: quando il re decise di traferire la capitale a Mandalay, l’intero palazzo fu smantellato, trasportato a dorso di elefante e ricostruito a nord di Mandalay!
Re Mindon Min vi abitò fino al giorno della sua morte, nel 1880. Fu allora che suo figlio decise di spostare nuovamente il palazzo, per “riassemblarlo” fuori della cinta muraria di Mandalay, cambiandone la destinazione d’uso a monastero. È un vero miracolo che il legno sia sopravvissuto a tanto trambusto!
Anche se il teak è uno dei legni più resistenti al mondo, devo dire che mostra chiaramente i segni del tempo: le assi sono screpolate e gli intagli anneriti e logorati dalle intemperie. Immagino come doveva presentarsi originariamente, quando era completamente coperto da uno strato dorato. All’interno, il tetto è ancora dorato e i pannelli che raccontano scene dei Jataka (aneddoti sulle vite precedenti di Buddha) sono in ottime condizioni.
Tutto ciò che è sacro in Myanmar viene ricoperto d’oro: stupa, statue di Buddha, interi edifici. È assolutamente necessario, se si visita il Myanmar, capire la fatica e il lavoro che si cela dietro questa pratica.
Ecco perché visito una bottega che realizza le famose foglie d’oro birmane. C’è da rimanere senza parole!
Giovani e ragazzini battono con una mazza d’acciaio le foglie d’oro su una roccia. Per aiutarsi a mantenere il ritmo, cadenzano i loro colpi con regolarità ipnotica. Il procedimento dura circa 5 ore: le foglioline d’oro, della grandezza di 3-5 centimentri per lato, vengono schiacciate in questo modo fino ad ottenere delle lamine dello spessore di un millesimo di millimetro. È un’attività altamente usurante, oltre che davvero faticosa, specie nelle giornate calde ed afose di Mandalay.
D’ora in poi quando vedrò una statua ricoperta d’oro, non potrò non pensare ai grandi sacrifici che sono stati necessari per realizzare ogni singola foglia d’oro, senza contare lo sforzo economico dei fedeli che le comprano.
Anche se Mandalay è una città moderna, l’area circostante è ricca di storia e ospita importanti città che, dopo il declino di Bagan, hanno assunto il ruolo di capitali del regno. Riesco a visitarne 3 su 4, tutte nella periferia sud della città.
Per alcune ho creato degli articoli specifici, per cui vi rimanderò al link per approfondire l’argomento.
Il suo nome significa “città dell’immortalità” ed è stata la penultima capitale del Myanmar prima della conquista inglese. Si trova a 10 km da Mandalay, di cui è diventata di fatto un sobborgo.
Con le parole di Tiziano Terzani nella testa, visito il monastero di Mahagandayon e assisto al rito del pranzo dei monaci. La sera, mi reco sul ponte U Bein, fino a pochi anni fa il più lungo ponte in teak al mondo. Il ponte consente il passaggio sul lago Taungthaman e congiunge così due villaggi locali. Per realizzarlo è stato usato il legno di scarto del palazzo reale!
Amarapura mi ha donato grandi emozioni e ho scritto una pagina di diario molto personale nell’articolo qui sotto.
Ava è stata capitale del regno per ben 4 volte. Noleggio un calesse e mi addentro tra le rovine di questi antichi fasti. La cosa che più sorprende è l’armonia con cui i vecchi palazzi si stanno integrando con le campagne circostanti e soprattutto lo stile di vita semplice dei contadini di Innwa, un piccolo villaggio sorto nelle vicinanze dell’area archeologica. Credo di aver scattato qui alcune delle foto più intense del mio viaggio, per questo ne ho scritto dettagliatamente nel mio articolo qui sotto.
Sagaing fu brevemente capitale del regno nel XIV secolo, dopo Bagan e prima di Ava, per poi tornare ad esserlo, sempre fugacemente, nel XVIII secolo.
È nota per essere una piccola Bagan e molti viaggiatori vi vengono se impossibilitati a raggiungere questo incredibile sito. Anche a Sagaing si trovano infatti migliaia di stupa sparsi tra le radure e li si può ammirare dalle colline di Sagaing Hill. La vista pomeridiana non ha il fascino che mi aspettavo, ma forse è perché Bagan mi ha rubato il cuore.
Visito l’imponente tempio di Soon U Ponya, alto quasi 30 metri e risalente al 1312. Pon Ya era il ministro del re e la leggenda narra che avesse poteri soprannaturali tali da edificare il tempio nell’arco di una sola notte.
All’interno, una statua di Buddha seduto dalle dimensioni davvero ragguardevoli.
Sagaing è, tra le città imperiali, quella che mi ha colpito meno ma ciò è forse imputabile alla velocità della mia visita. La città è infatti un importante centro spirituale e vi abitano migliaia di monaci che avrei avuto il piacere di osservare nella loro vita quotidiana. Questo potrebbe essere un buon motivo per tornare in Myanmar, o forse dovrei dire un altro buon motivo, perché c’è davvero tanto di incredibile in Birmania, non da ultimo l’incredibile gentilezza di chi la abita.