Ogni luogo sembra avere un trascorso leggendario a Bago! Antica capitale della Birmania, nata sul letto del fiume Pegu, Bago vanta lo stupa più alto del Myanmar, gli uomini più galanti e le donne più capricciose. Tra pagode con gigantesche statue di Buddha e templi devoti a pitoni secolari, la giornata trascorre spensierata. E poi c’è il mercato locale, dove si possono assaggiare piccoli volatili allo spiedo e le immancabili cavallette fritte dello street food birmano.
Bago è l’ultima città che visito durante il mio viaggio in Myanmar. Posso dedicarle una sola giornata, quindi lascio che Alessio, la mia guida, faccia una selezione di ciò che è essenziale visitare.
Forse Bago non è una delle principali attrazioni turistiche della Birmania, ma la percorro con lo sguardo malinconico di chi non vuole proprio lasciare questo splendido paese.
Ogni luogo sembra avere un trascorso leggendario ed è un piacere ascoltare Alessio che racconta miti e leggende con sguardo trasognato!
Bago, o Pegu, è una città situata a 80 km da Yangon. Come Pagan, Mandalay, Ava e Amarapura, anch’essa un tempo è stata la capitale del regno birmano. Nel corso dei secoli, per la sua ubicazione sul fiume Pegu, la città ha mantenuto un’importanza strategica e fu contesa da diverse dinastie che la sfruttarono per i commerci marittimi. Quando il fiume deviò il suo corso, la città divenne marginale.
La leggenda narra che Bago sia stata fondata nel 573 d.C. da due principi mon che videro su un’isola posta al centro di un lago un cigno femmina poggiarsi sul dorso di un maschio e trovarono l’evento bene augurante.
L’interpretazione popolare è assai più romantica: il cigno maschio sostiene la femmina e le consente di risposare sul suo dorso come gesto di galanteria. Non a caso, gli uomini di Bago sono rinomati in tutto il paese per il loro savoir-faire. Se chiedete a loro, però, vi diranno che è meglio non sposare le donne di Bago, perché si diventa matti per cercare di soddisfarne i mille capricci!
Inizio la mia visita allo Shwemawdaw Paya, che è il simbolo della città. La “grande pagoda del Dio dorato” fu costruita più di mille anni fa dai monaci mon per custodire, secondo una leggenda, due capelli di Buddha.
Inizialmente era alta solo 23 metri ma è stata modificata a più riprese nel corso dei secoli e oggi è alta ben 114 metri.
Sopravvissuta, come gran parte degli edifici birmani, a diversi terremoti e oggetto di numerosi rimaneggiamenti, la Shwemawdaw Paya è la pagoda più alta di tutto il Myanmar e spicca sullo skyline della città in maniera davvero caratteristica. La luccicante punta dorata dello stupa supera infatti di 14 metri lo Swedagon Paya di Yangon.
Vi accedo passeggiando lungo la grande scalinata coperta all’ingresso, dove è possibile comprare souvenir da centinaia di bancarelle poste ai lati del passaggio. Tutto il complesso è ornato da alberi frondosi potati in maniera tale da estenderne inverosimilmente la chioma e fornire ombra durante le ore più calde della giornata. L’atmosfera è serena e rilassata, come avviene in tutti gli edifici religiosi birmani: è davvero incantevole trascorrervi il tempo.
Uno piccolo stupa, incorporato in una struttura di mattoni, colpisce la mia attenzione. Alessio mi spiega che si tratta dei resti dell’hti raso al suolo da un terremoto nel 1917. Simboleggia la straordinaria forza degli agenti atmosferici, capaci di distruggere con un sol colpo quanto l’uomo costruisce. Tutto è temporaneo, nulla perdura: una verità centrale negli insegnamenti buddisti.
Mi ha sempre affascinato il modo in cui la dottrina di Gautama Siddharta, che non concepisce la presenza di Dio né spiriti sovrannaturali, si sia mescolata con le tradizioni locali di stampo induista dando vita a credenze popolari ricche di mitologia ed elementi fantastici, in forte contrasto con il credo originale.
La Snake Pagoda offre una summa di questi aspetti. Vi arrivo dopo un breve spostamento in autobus per le periferie della città, dove mi colpiscono alcuni piccoli villaggi sorti a ridosso di una discarica. Le persone che vi abitano lavorano allo smaltimento dei rifiuti, in condizioni igieniche davvero misere.
La pagoda di per sé non è di particolare interesse, se non fosse per la leggenda che la circonda e che riguarda la presenza di un pitone secolare.
La prima volta che il pitone arrivò al villaggio, fu gentilmente riportato nella foresta; eppure, il pitone tornò di nuovo, e di nuovo, e di nuovo.
Gli abitanti della zona capirono che non c’era modo di scacciarlo ed iniziarono ad interrogarsi sul motivo per cui avesse scelto di vivere con loro.
Consultarono una anziana indovina, capace di parlare con gli animali. La donna toccò il pitone e cadde in trance. Al suo risveglio, raccontò di aver avuto una visione che poteva svelare il mistero che aleggiava sul rettile: il pitone era in realtà la reincarnazione di un monaco nato in quel villaggio molto tempo prima e si aggirava tra le abitazioni nel tentativo di trovare la sua vecchia casa. In suo onore fu allora edificato un monastero ed è all’interno della pagoda principale che si può andare a fargli visita.
Di solito il pitone è libero di girare, ma nel momento in cui raggiungo la Snake Pagoda lo trovo che dorme sereno in un angolo del tempio. I fedeli gli lasciano banconote come offerta votiva, quindi non meraviglia che il serpente dorma su un letto di soldi!
Ci sono diversi Buddha reclinati a Bago, ma Alessio mi assicura che il Mya Tha Lyaung è il più suggestivo. In primis perché è lungo 82 metri e poi perché è esposto all’aria aperta. Non ci sono strutture di lamiera a proteggerlo dalle intemperie, come accade a Yangon, e questo rende la vista della gigantesca statua molto più attraente. La grande testa di Buddha si staglia contro l’azzurro del cielo e i suoi piedi sembrano radici che penetrano nella vegetazione circostante. La statua è stata costruita di recente, nel 2001, su un tumulo di mattoni risalenti al XV secolo.
La Kyaik Pun Pagoda è un edificio religioso costituito da 4 statue di Buddha altri 30 metri che siedono dandosi le spalle l’un l’altro intorno ad un enorme pilastro quadrato. Le statue raffigurano Gautama e tre suoi predecessori e sono collocate in maniera tale che ciascuna indichi uno dei 4 punti cardinali.
La leggenda narra che vi fosse un legame particolare tra le statue e quattro sorelle mon e che le statue sarebbero crollate se si fossero sposate. Una bella responsabilità!
La struttura fu edificata nel 1476 ma uno dei Buddha crollò nel 1930 a causa di un terremoto e fu poi ricostruito. All’ora di pranzo (che secondo i dettami religiosi si svolge alle 10:30) vi si radunano i monaci con le offerte raccolte nei villaggi vicini: gruppi di fedeli assistono alla scena, portando loro doni e cibo.
Il rito del pranzo è un momento fondamentale della pratica buddista ed è particolarmente sentito in Myanmar. Ho potuto assistervi ad Amarapura ed è stata un’esperienza indimenticabile.
Il mio viaggio in Myanmar volge al termine. Dedico le ultime ore a disposizione per visitare il mercato della città. Oltre ai caratteristici banchi di cavallette fritte, si trova il pesce pescato nel fiume Pegu, pollo, frutta e verdura.
Ci sono diversi negozi di fiori recisi, molto frequentati dalle donne del posto. Mi colpiscono poi le gabbie piene di piccoli passeri: si tratta di uccelli della fortuna. Le persone li acquistano per poi liberarli, credendo sia di buon auspicio. C’è anche tutto l’occorrente per mangiare un boccone al volo. Il cibo più strano dello street food locale sono degli arrosticini di piccoli uccellini, non capisco se si tratti di pulcini di gallina o adulti di piccoli volatili… in ogni caso mi sembra ci sia veramente poco da mangiare!
Mentre passeggio tra i banchi del mercato, mi rendo conto che in Myanmar non ho mai dovuto stringere il portafoglio nei pantaloni per controllare di averlo ancora in tasca. Non ho mai incontrato uno sguardo aggressivo, nessuno si è mai avvicinato a me con atteggiamento losco. Mi porto a casa solo sorrisi gentili, occhi luminosi e tanta, tantissima bellezza.