Sveglia all’alba, colazione frugale e subito in sella delle nostre jeep. Ci dirigiamo verso i Canyon di Bozzhira, il luogo forse più conosciuto del deserto del Mangystau. Se fosse ancora di moda inviare cartoline, vorremmo tutti spedirne una da qui. E ne terremo un’altra in tasca, come ricordo, a testimonianza del fatto che siamo stati qui, sporchi e sudati, ad ammirare uno dei panorami più belli del mondo.
Ancora con la testa trasognata dopo il trekking tra gli onirici scenari delle Tiramisu Hills, salgo sulla jeep e mi lascio sballottare dai continui urti, dalle buche, dal terreno sconnesso. Tenersi stretti alla maniglia del passeggero è di per sé un’avventura.
Ci fermiamo per una piccola sosta davanti al Massiccio Bokty, un simpatico energumeno decorato alla base da numerosi strati colorati che si staglia solitario su una pianura di accecante terra bianca. La sua particolarità è quella di mutare forma a seconda dell’angolazione da cui lo si guarda.
Il monte ha forma esattamente trapezoidale ma se lo si aggira per ammirarlo da meridione, ecco che si trasforma in una perfetta piramide. Sergey tira fuori dalla stasca un biglietto da 1000 tengè e ci mostra con orgoglio che il monte vi è raffigurato.
Proseguiamo per il Canyon di Bozzhira, dove passeremo la notte. Se ho deciso di intraprendere questo viaggio è proprio merito di questo posto. Siamo nel tratto sud-occidentale dell’altopiano di Ustyurt, in una zona che centinaia di milioni di anni fa corrispondeva al fondo dell’oceano di Tetide. Oggi l’area è una vasta pianura bianca, color gesso, scavata dal tempo e dal progressivo mutamento del livello delle acque. In questo scenario onirico e alieno, spiccano gli aspri picchi della catena montuosa di Bozshira.
“Qualcuno di voi soffre di vertigini?”, chiede Aset con fare serio. “Ma no! Non c’è bisogno di spaventarli”, lo interrompe Sergey. “Il trekking è facile, non è pericoloso”. Aset non vuole contraddirlo ma la sua faccia racconta un’altra storia.
Tre viaggiatori alzano la mano. Una di queste è attaccata al mio braccio. Dire che soffro di vertigini è un eufemismo. Davanti ad un precipizio sudo, tremo, mi paralizzo sul posto. Ma sono venuto nel Mangystau per vedere Bozzhira. Non posso tirarmi indietro. “Esattamente quanto sicuro è il percorso?”, chiedo. Sergey sorride e mi dà una pacca sulla spalla. “Le foto, Andrea! Pensa alle foto che farai!”.
Ci mettiamo subito in cammino.
Sergey sceglie un punto da cui salire. Non c’è nessun sentiero, è l’istinto a guidarlo. Un passo dopo l’altro, ci arrampichiamo sempre più in alto. Procediamo così per un’oretta circa. Sergey si diverte a mettermi paura, fingendo di essere scivolato giù nello strapiombo. Sono abbastanza fiero di me, pensavo sarebbe stato molto peggio.
Poi intravedo Aset e Sergey lanciarsi un’occhiata di allerta e avvicinarsi a me con un sorriso tirato. Davanti a noi c’è una lingua di terra tra due strapiombi. Mi si congelano le gambe. “Non è tanto stretto, Andrea. Non è pericoloso, ti sto vicino io”. Attorno a me un piccolo gruppo di sostenitori cerca di farmi coraggio. “Ce ne sono solo altri due come questo”, aggiunge Aset. “Niente di che, vedrai”. Altri due??? Solo il pensiero delle foto che farò si frappone tra me e un attacco di panico. Sarà meglio che siano foto bellissime. Da premio pulitzer.
Finalmente arriviamo a ridosso dei due picchi che caratterizzano il canyon. Una sottile lingua di terra conduce fino al primo. Ci si può affacciare, o sedersi proprio sullo strapiombo. La vista è mozzafiato. Il sole picchia senza sosta, ma nessuno se ne lamenta. Siamo completamente assorbiti dalla magnificenza della natura.
Nonostante la rigidità delle gambe e lo stomaco chiuso, sono felice di essere arrivato fino a qui. Norman Peale, il padre del pensiero positivo, ha scritto: “Affronta gli ostacoli e fa’ qualcosa per superarli. Scoprirai che non hanno neanche la metà della forza che pensavi avessero”. Credo sia profondamente vero.
“In passato, i cacciatori spingevano gli animali fino a questo budello“, ci spiega Sergey. “Costruivano degli steccati per indirizzare la loro fuga fin qui. Così erano in trappola. Molti si gettavano dal precipizio nel tentativo estremo di fuggire. Questa pratica è stata abbandonata solo negli anni trenta del secolo scorso”. Efficace. Cruenta.
È il momento di affrontare la discesa, che si rivela altrettanto complicata. Ma ormai sono lanciato e non temo alcunché.
Trascorriamo il pomeriggio visitando altri scorci di Bozshira e al tramonto saliamo su una formazione di gesso che Sergey chiama “la Nave”, da dove godiamo di uno straordinario panorama.
Sta facendo buio ormai, quindi rimontiamo in auto e raggiungiamo un ampio spiazzo, proprio ai piedi dei due picchi che abbiamo scalato stamattina. È qui che monteremo le tende e trascorreremo la notte. Intorno a noi solo spazio e silenzio.
A cena la solita mini-porzione menu bambino. Sergey ci chiede sempre se siamo sazi e proprio non ho il coraggio di dire di no! Nonostante la stanchezza, rimaniamo alzati fino a tardi fuori dalle tende, ad ammirare i picchi di Bozzhira sotto il cielo stellato. Sergey e io tiriamo fuori i cavalletti e scattiamo qualche foto. A mezzanotte, Sergey fa comparire un paio di bottiglie di spumante. È ufficialmente l’8 agosto, il giorno del mio compleanno. Non so chi gli abbia detto che festeggiavo gli anni, ma il suo gesto è davvero gradito.
È una notte magica. Non vorrei essere in nessun altro posto.
Ma che meraviglia! Come si fa a prendere contatto con chi ti può portare come avete fatto voi?
Ci sono diversi tour operator che organizzano viaggi in Mangystau. Basta cercare in rete!
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4 Comments
Ma che coraggio!!😮
Almeno tu ci sei riuscito… invidia!