Non potete visitare il Kerala senza fermarvi a Kochi, un tempo nota come Cochin. Il suo passato è ricchissimo di influenze culturali, come testimoniano i sistemi di pesca tradizionale cinese, una fortezza portoghese e un museo olandese!
L’ultima tappa del mio viaggio in India prevede una fermata a Kochi, un tempo nota come Cochin, città portuale della costa sud-occidentale dell’India. La sua storia è talmente ricca di influenze eterogenee e scambi culturali e commerciali che oggi ospita una sinagoga ebraica, antiche moschee, sistemi di pesca tradizionale cinese, una fortezza portoghese e un museo olandese!
Se non vi sembra sufficiente, sappiate che Cochin è anche uno dei più fervidi centri culturali indiani, dove si può assistere ai migliori spettacoli di danza kathakali e dimostrazioni di kalaripayattu, che non soltanto è la più antica arte marziale indiana ma addirittura del mondo intero.
Il complesso profilo morfologico della città, con le sue innumerevoli penisole e isole collegate da ponti e traghetti, ne fanno una città sia marittima che lacustre. Insomma, Cochin merita decisamente una visita ed è il luogo migliore per concludere il mio peregrinare nell’assolato sud indiano!
Inizio la mia visita con una passeggiata lungomare a Fort Cochin, l’antico centro storico. Il tratto che va da Vasco De Gama plaza fino a Mahatma Gandhi Beach è una famosa attrazione turistica, perché qui si possono ammirare le reti da pesca cinesi, divenute simbolo ufficioso delle backwaters del kerala, e fotografatissime. Queste strutture furono realizzate nel 16° secolo, quando gli scambi commerciali con la Cina erano assai fiorenti: ricordano moltissimo i nostri trabocchi abruzzesi, con le reti sospese a pochi metri dalla riva, che vengono calate con un sistema di contrappesi durante l’alta marea.
Sulla spiaggia, si possono ammirare i pescatori che gettano a mano le reti e le ritirano sperando di aver preso qualche pesce sfortunato. Il lancio della rete richiede molta forza e una tecnica che prevede diversi avvitamenti, un po’ come nel lancio del giavellotto. Mi avvicino ai pescatori e inizio a fotografare la loro danza così insolita. Temo di venire allontanato malamente: al contrario, i giovani pescatori decidono di lanciare le loro reti a favore di fotocamera, agevolandomi il lavoro.
È incredibile, per noi occidentali, la facilità con la quale gli indiani si lascino avvicinare e fotografare. Non hanno il nostro senso del pudore, non sono ritrosi né timidi. Vanno incontro agli altri con grande apertura, quindi se incontrano un fotografo che è interessato a loro, gli si mostrano senza incertezza, non si impostano, non si mascherano, non si edulcorano per sembrare ciò che non sono. Insomma, il paradiso di ogni fotografo. Saluto tutti con gratitudine e continuo la mia passeggiata lungo la costa.
A pochi metri dalla spiaggia, ci sono le bancarelle dei pescatori dai quali si può comprare pesce fresco tutto il giorno o chiedere addirittura che sia cotto sul posto. Poco distanti, i colori brillanti dei venditori di spezie attirano lo sguardo; in passato Cochin è stata una delle principali esportatrici di spezie dirette verso l’Europa: pepe, cannella, cardamomo, legno di sandalo…
Ad ogni passo, i ragazzi mi fermano per scattarsi un selfie insieme – anche io li fermo per fare altrettanto- ed è così che trascorro qualche ora, in totale spensieratezza.
Camminando mi imbatto nei resti del passato di Fort Cochin: la città è stata conquistata prima dai portoghesi, poi dagli olandesi e dai britannici. Sulla spiaggia si trovano tracce del loro passaggio: un cannone della fortezza portoghese di Fort Emmanuel, del 16° secolo, l’ancora della nave che affondò uccidendo Lord Willington e delle strane caldaie a vapore, sempre del periodo britannico.
Meritano attenzione anche i murales che fiancheggiano la spiaggia, opera di artisti locali. Tra essi, sta acquisendo popolarità un graffito di due ali colorate, dove molti si fermano a fotografarsi.
Il mio giro continua comodamente seduto sul sedile del minivan. Pandyian ha deciso che devo assolutamente vedere un po’ di architettura religiosa! Saranno delle fermati veloci, giusto il tempo di ammirare il patrimonio artistico di Cochin.
Per prima cosa, mi porta a vedere San Francis Church, la prima chiesa costruita dagli europei in India. Merito dei frati francescani portoghesi… La chiesa è famosa per avere ospitato le spoglie di Vasco Da Gama, che morì proprio a Cochin, nel 1542. Anche se oggi è tumulato a Lisbona, il corpo dell’esploratore riposò qui per 14 anni e ancora oggi è possibile vederne la lapide.
Poi ci dirigiamo alla Basilica Santa Cruz, una delle nove basiliche presenti in Kerala e senza dubbio la più imponente. Sarò sincero: non ho molto apprezzato questa chiesa, non ha nulla dello stile gotico a cui siamo abituati. La facciata e gli esterni sono intonacati e decorati con stucchi, mentre gli interni sono in tinte color pastello.
Ci spostiamo quindi nel quartiere di Mattancherry, antico centro del commercio delle spezie a 3 km a sud di Fort Cochin, dove si può passeggiare tra i bazar di spezie e stoffe di Kashmir.
Qui visito il Mattancherry Dutch Palace, un antico palazzo portoghese donato al raja di Cochin in segno di amicizia. Oggi la struttura è adibita a museo e vi si possono ammirare innumerevoli dipinti murali hindu, con scene tratte dal Ramayana. All’interno è proibito fare fotografie ma, credetemi, vale la pena fermarsi un paio d’ore.
Poco distanti, la sinagoga Pardesi, decorata con ceramiche cinesi e lampadari belgi, e il tempio Gianista concludono le mie visite alle strutture religiose di Kochi. Entrambe non consentono l’accesso con fotocamera. Non si tratta di luoghi turistici, quindi siate rispettosi e discreti se deciderete di farci visita.
Abbastanza stanco dopo tutte queste visite culturali, decido di trascorrere il pomeriggio in spensieratezza. Pandyian mi propone un bel bagno a Kuzupilly beach, che si trova a circa un’ora di macchina a nord di Cochin.
Sono le ultime ore qui in Kerala. Domani mattina raggiungerò l’aeroporto di Kochi e prenderò un volo per Roma. Mi diverte l’idea di trascorrere il pomeriggio in costume, consapevole che fra poco l’Italia mi accoglierà con il suo gelido inverno. È il 6 gennaio, festa dell’epifania e sto per vivere una esperienza incredibile, sotto ogni punto di vista.
Kuzupilly beach ha una spiaggia ampia, bordata da alti pini; la sabbia è fine e dorata. Passeggio lungo la riva, scambio saluti con i passanti (gentili e sorridenti come se ne trovano solo in India), mi tuffo in acqua e gioco con le onde. Le ore trascorrono in uno stato di grande leggerezza.
Il tramonto mi riserva un incontro al limite del surreale. Non ci crederei se qualcuno mi raccontasse ciò che sto per raccontare.
Un gruppo di giovani si diverte a sfidare le onde, che si vanno ingrossando al calare del sole. Le loro risate mi contagiano e mi avvicino a loro. Noto che sono sorvegliati a vista da una suora. Indossa il velo blu, come le suore che mi hanno cresciuto all’asilo.
I nostri sguardi si incontrano e la suora mi sorride. “Where are you from?”, mi chiede in un buon inglese. Le rispondo che sono di Roma, che amo l’India e mi dispiace separarmene. “Che bello! Ho vissuto tanti anni a Roma”, mi sorprende lei, rispondendomi in italiano. “A Vermicino, per l’esattezza.” Adesso sono doppiamente sorpreso! “Sono nato e cresciuto a Vermicino!”, esclamo io sperando che la suora non creda io voglia prendermi gioco di lei.
“Insegnavo all’asilo di Vermicino!”, ribatte lei con altrettanta sorpresa. E così scopro che non solo conosce il parroco che mi ha battezzato, ma ha lavorato nello stesso asilo che ho frequentato da bambino. Nei nostri ricordi condividiamo le immagini degli stessi luoghi, delle stesse persone. Chissà se ci siamo mai incontrati al supermercato, alla posta, alla fermata dell’autobus.
Dentro di me nasce un sentimento di grande fiducia, di totale abbandono. Agli angoli opposti del mondo, nei luoghi più remoti, nessuno è solo. Gli sconosciuti non sono davvero estranei. Basta fermarsi a parlare pochi attimi per scoprire che in qualche modo ci sono familiari. Abbiamo tutti dei punti di contatto, più significativi delle cose che ci separano.
“Salutami tanto Vermicino”, mi dice la suora prima di salutarmi. “Senz’altro! Spero tornerai a trovarci presto!”, rispondo io.
Quando rimetto piede sul territorio italiano e percorro in auto la strada che mi riporta a casa, tutto mi sembra trasfigurato. Non guardo più Vermicino solo con i miei occhi, ma anche con gli occhi della suora del Kerala. Immagino come deve essergli sembrato questo posto la prima volta che ci è venuta. Quanto deve esserle apparso estraneo in principio, così diverso in tutto e per tutto dalla sua madrepatria. E quale malinconia esprimeva il suo sguardo dopo averci vissuto per tanti anni!
La stessa cosa credo sia capitata anche a me durante il mio viaggio in India. Come è cambiato il mio modo di vederla! L’India in passato mi aveva spaventato, con i racconti delle sue estreme povertà e contraddizioni. Oggi invece mi è cara e mi sembrano poca cosa i 7.000 km di distanza che ci separano. In India ho scambiato migliaia di sorrisi, stretto centinaia di mani, dormito centinaia di ore e sognato gli stessi sogni dei miei fratelli indiani.
Fishing in Kochi
– Inspirational photo gallery –
A day visiting Kochi, with its Chinese fishing nets, the local fishermen, Fort Kochi, Kuzhupilly beach and more…
Questo sito web utilizza i cookie. Utilizziamo i cookie per personalizzare contenuti ed annunci, per fornire funzionalità dei social media e per analizzare il nostro traffico. Condividiamo inoltre informazioni sul modo in cui utilizzi il nostro sito con i nostri partner che si occupano di analisi dei dati web, pubblicità e social media, i quali potrebbero combinarle con altre informazioni che hai fornito loro o che hanno raccolto dal tuo utilizzo dei loro servizi.
Qui puoi trovare una lista dettagliata dei cookie utilizzati dal sito, con la loro funzione e durata. Per ulteriori dettagli, consulta la nostra pagina sui dettagli dei cookie.
Per ulteriori informazioni, consulta la nostra Cookie Policy.
Powered by Sviluppo App