La capitale del Tamil Nadu mi accoglie mettendo subito le cose in chiaro: non c’è spazio per la fretta qui. Ogni cosa richiede il suo tempo e, se la smetto di voler programmare tutto, la ricompensa è dietro l’angolo. Resto ammaliato da uno spettacolo di danza Odissi e trascorro una mattinata tra alligatori e cobra in una riserva naturale fuori città. Il Tamil Nadu confonde e inebria, con i suoi no che significano sì.
Arrivo a Chennai (o Madras), la capitale del Tamil Nadu, nel pomeriggio. Appena esco dall’aeroporto una raffica di vento bollente mi sorprende. L’India del sud è calda e afosa anche a dicembre: un bel cambiamento rispetto al freddo di Varanasi, nell’Uttar Pradesh!
Spesso chi visita il Tamil Nadu resta poche ore a Chennai per dedicare più tempo a siti più interessanti, come quello di Mamallapuram e Thanjavur. Anche io ho deciso di fare lo stesso, ma adesso me ne pento. Il volo aereo ha subito mezza giornata di ritardo a causa della nebbia che ha paralizzato l’aeroporto di Varanasi, rosicchiando gran parte delle ore a mia disposizione.
“Dove sono le vacche?”, chiedo al tassista che mi sta portando in centro. “Varanasi ne era piena!”. Mi risponde che ci sono anche in Tamil Nadu, ma molte di meno. Peccato. Ormai mi ero abituato!
Resto imbottigliato nel traffico per circa due ore, quindi dico addio alla passeggiata sulla spiaggia di Marina Beach. Quando arrivo a Mylapore, il quartiere più modaiolo di Chennai, il sole è ormai tramontato. Il Kapaleeshwarar Temple ormai è chiuso, dovrò limitarmi a scattare qualche fotografia dall’esterno. L’India non si può visitare con i minuti contati. Gli orari dei templi, come avrò modo di verificare nei giorni futuri, non sempre coincidono con quelli indicati sulle guide turistiche. Ma non bisogna disperare: si trova sempre qualcos’altro da fare.
Poco distante dal tempio, si tiene il Dance For Dance Festival 2019. Stasera è in programma una spettacolo di danza odissi dal titolo ‘aStree, con Bijayini Satpathy.
Il pubblico è vestito in abiti elegantissimi ed è evidente che mi trovo a contatto con l’inteligentia cittadina. Quasi mi vergogno di essermi presentato in jeans e maglietta ( non so perché ho scritto “quasi”). Il Tamil Nadu e il Kerala sono tra le regioni più acculturate dell’India, e tra le più sviluppate. Mi guardo intorno e capisco di avere davanti ai miei occhi la classe dirigente della città.
Gli spettatori vestono con gusto e si muovono con un’eleganza senza pari. Tra un atto e l’altro, restano seduti ai loro posti e bisbigliano commenti pacati.
Tradizionalmente praticata nei templi come rito devozionale, la danza Odissi è la più antica tra le sette forme di danza classica indiana. Originaria dello stato di Orissa, nel nord dell’India, ha più di 2.000 anni ed è legata al culto di Visnu, Krishna e Shiva. Durante il dominio coloniale inglese, la danza Odissi fu osteggiata e soppressa da movimenti cristiani anti-danza, perché ritenuta provocatoria e immorale, e le ballerine furono trattate alla stregua di prostitute da strada. Nonostante ciò, la tradizione Odissi non è morta e oggi si assiste ad un recupero consapevole della sua importanza culturale. Le esibizioni che un tempo si tenevano nei templi, oggi si sono spostate nei teatri.
In scena, Bijayini Satpathy è accompagnata da una banda musicale che suona dal vivo. La voce del cantante riempie la sala e i suoi versi iniziano a raccontare una storia, che la danzatrice interpreta puntualmente. Mi colpisce subito l’intensità dello sforzo fisico richiesto.
Il corpo è come spezzato in due: il busto ondeggia leggero, le braccia disegnano movimenti delicati e le dita delle mani si intrecciano in eleganti mudra. Le gambe e i piedi, al contrario, percuotono violentemente la terra, battendo il tempo. Anche il viso è parte attiva dell’esibizione: sguardi languidi, sorrisi beffardi, smorfie di sorpresa e dolore sottolineano ogni snodo drammatico.
Nonostante la fatica e il sudore, la ballerina non perde mai la concentrazione e tutto si svolge in un’atmosfera incantata. Il pubblico assiste in silenzio, attratto, sedotto, ammaliato.
Un altro assaggio di questa India misteriosa ed esotica arriva la mattina seguente.
Sono su un autobus che mi porta a Mamallapuram e mi fermo per una breve sosta al Madras Crocodile Bank, a circa 40 km a sud di Chennai. Si tratta di una grande riserva di rettili, che si può visitare come fosse un comune zoo, ma che in realtà assolve il nobile compito di tenere in vita alcune delle specie di rettili a rischio di estinzione nel paese.
Dovrebbe essere una visita veloce, tanto per sgranchire un po’ le gambe; mi ritrovo invece a passeggiare tra grandi recinti gremiti di rettili da fauci poderose, denti aguzzi e sguardi minacciosi. Il bambino che è in me deve aver perso la cognizione del tempo, perché passo almeno un’ora a guardarli e ammirarli, leggendo su grandi cartelli scritti in inglese tutto ciò che riguarda l’habitat e la dieta di iguana, alligatori e coccodrilli. C’è anche un terrario che ospita draghi di Komodo, cobra, boa e altri esseri con lingue biforcute, artigli affilati e pupille a fessura verticale.
Sapevate che i coccodrilli possono restare immersi per oltre un’ora senza respirare? E che il drago di Komodo ha un morso velenoso a causa dei batteri che abitano nella sua bocca? E sapevate che ogni anno in India un milione di persone vengono morse da serpenti e 50.000 ne muoiono?
La cosa che più mi colpisce è la recinzione degli alligatori. Sono così numerosi e costretti a convivere gomito a gomito che scoppiano risse per aggiudicarsi la migliore posizione, sulle sponde di una vasca d’acqua. Molti esemplari portano i segni di queste lotte all’ultimo sangue: c’è chi ha perso una zampa, chi ha un grosso squarcio sul ventre e chi ha addirittura perso parte del muso.
Ogni tanto gli operatori del parco entrano nella fossa per pulirla: i visitatori osservano l’operazione affascinati, con l’inconfessabile speranza di assistere ad un agguato truculento e sanguinoso.
Ovviamente non succede niente, vengono prese le dovute precauzioni. Ma nessuno vieta ai visitatori di raccontare agli amici un’altra versione della storia. 🙂
Torno sull’autobus e riprendo la strada per Mamallapuram.
“Manca ancora molto?”, chiedo al mio autista e angelo personale Pandyian. Lui scuote la testa per dire no. “Mamallapuram è vicina?” Scuote di nuovo la testa, ma vuol dire di sì questa volta.
In India scuotono la testa per dire no e la fanno oscillare per dire sì. Una differenza impercettibile, ma sostanziale. Pur sapendolo, vado in tilt ogni volta. Le scimmie nel mio cervello vanno in cortocircuito. Poi scoppiano a ridere e si innamorano ancora un po’ di questo paese contraddittorio e misterioso.