Con la mente piena delle suggestive vedute di Khiva, proseguo il mio percorso lungo l’antica via della seta e arrivo a Bukhara. Qui, a mio avviso, si trova il patrimonio artistico più affascinante di tutta l’Asia centrale. Bukhara infatti è stata sottoposta ad un intervento di restauro meno invasivo di quello riservato a Samarcanda ed oggi incarna meglio di qualunque altro luogo la fisionomia che aveva il Turkestan prima dell’arrivo dei russi. Resto qui due giorni, passeggiando lungo i vicoli e attraversando i mercati coperti. Ogni volta che alzo lo sguardo, l’occhio cade sulle facciate delle madrase e i profili dei minareti, che non si stancano mai di farsi ammirare.
È amore a prima vista.
“Un tempo a Bukhara c’erano 200 vasche d’acqua. Li chiamavamo Hauz, cioè ‘stagni’. Erano il principale rifornimento della città. Le persone ci venivano per chiacchierare, gli anziani si riparavano all’ombra dei tigli per giocare a scacchi, la sera la gente vi si riuniva intorno per ballare e fare festa. Gli stagni erano l’habitat ideale per le rane e questo attirava stormi di cicogne.
Bukhara era la città delle cicogne. C’erano nidi su ogni tetto. Ma gli stagni erano anche veicolo di malattie. Ci furono diverse epidemie e pestilenze. Così, quando i bolscevichi presero la città, negli anni ’20, fecero chiudere quasi tutte le pozze e modernizzarono il sistema idrico. Senza gli stagni le rane sono sparite e, di conseguenza, le cicogne sono volate via. Se abitate nel nord Europa, quando tornate a casa e vedete una cicogna, pensate a Bukhara, perché forse quella cicogna proviene da qui”.
Il mio albergo è in Lyab-i Hauz, una piazza con una delle poche pozze rimaste in città. Oggi è inzeppata di ristoranti per turisti e bancarelle che affacciano sullo stagno. La sera c’è musica ad alto volume, spesso si tratta di canzoni di Al Bano e Romina o dei Ricchi e Poveri. Qui la nostra musica ancora spacca!
Lyab-i Hauz oggi non ha il fascino che doveva avere un tempo, e non ne avrei capito il valore storico e culturale, se Aziza, la guida turistica, non me ne avesse spiegato la storia. Mentre passeggiamo, noto tanti nidi di cicogna spuntare dai tetti.
“I nidi che vedete sono finti, per ricordarci del passato. Ne è rimasto solo uno vero, che cerca di resistere alle intemperie.”
Le strade che da Lyab-i Hauz vanno a nord e a ovest portano ai tre bazar coperti della città: il mercato dei cambiavalute, dei cappellai e dei gioiellieri, coperte da cupole in mattoni color crema davvero particolari. Servono per convogliare dentro l’aria fresca e portare sollievo dalla calura estiva.
“Qui potete comprare tutto quello che vi piace”, prosegue Aziza, “ma non vi spaventate quando il commerciante vi dice il prezzo. Si aspettano che contrattiate e, se non lo fate, si offendono”.
Torno a gironzolare al mercato più volte, al mattino e alla sera. I prezzi cambiano notevolmente durante la giornata, ma il sorriso e la gentilezza dei commercianti sono costanti!
Un tempo i bazar coperti erano molti di più, ma oggi ne sopravvivono solo tre. In quello che un tempo era il bazar delle spezie, sorge la moschea Maghok-i-Attar, la più antica dell’Asia centrale, che risale al IX secolo.
La leggenda narra che si salvò dalla barbarie di Gengis Khan grazie all’intervento della gente del posto, che la seppellì per nasconderla. È un luogo davvero unico, il più sacro della città. Al di sotto della moschea, è stato infatti rinvenuto un tempio zoroastriano del V secolo, poi distrutto dagli arabi, e ancora più in profondità, un tempio buddista precedente.
Lo Zoroastrismo è la religione monoteista più antica al mondo ed ha notevoli somiglianze con il Cristianesimo. In entrambe, infatti, si venera un unico Dio, creatore dell’universo; si parla di libero arbitrio per gli esseri umani, chiamati a scegliere tra il bene e il male, e si descrive il giorno del giudizio universale, in cui gli uomini saranno giudicati per le loro azioni.
“Ci sono 140 edifici protetti nel cuore della città, alcuni di questi sono millenari”, prosegue Aziza. “Non vi consiglio di cercare di vederli tutti. Piuttosto, dedicate del tempo a fare una lunga passeggiata. Non c’è niente di meglio per respirare l’atmosfera del posto”.
Il nostro tour con Aziza sta entrando nel vivo: le tappe successive ci lasceranno senza fiato. Non so quante fotografie ho scattato alla madrasa Mir-i-Arab, del XVI secolo, con le sue luminose cupole azzurre. Ho continuato a tornarci più volte durante il mio soggiorno a Bukhara, fino a catturarla con la luce migliore (nel tardo pomeriggio).
La madrasa è vietata ai turisti, quindi si può solo godere della strepitosa facciata.
Antistante – e contemporanea – si trova l’altrettanto maestosa Moschea di Kalyan (o Kalon). È la moschea principale della città e può contenere fino a 10.000 fedeli nel suo cortile interno, che sfoggia colorate decorazioni di piastrelle.
Nella piazza tra la madrasa e la moschea, si erge un vero capolavoro architettonico. È il minareto Kalyan, che risale al 1127. Alto 47 m e con fondamenta profonde 10m, era il minareto più alto dell’Asia. Gengis Khan ne fu così impressionato che decise di risparmiarlo.
Le sue 14 fasce decorate costituiscono il primo esempio di uso di piastrelle smaltate azzurre e ne ispirarono l’uso in tutta l’architettura timuride. Sono nel cuore di Bukhara, in uno scenario così esotico e pittoresco che commuoverebbe anche un sasso.
Il minareto testimonia al mondo che la bellezza è un valore così alto da intenerire anche il cuore del più feroce distruttore. In essa c’è un anelito all’elevazione incredibilmente tenace.
Mentre ci spostiamo in direzione della fortezza, veniamo attratti da una delle tante madrase in stato di abbandono che necessiterebbero di una completa e celere ristrutturazione. Si tratta della madrasa Abdoullaziz Khan, risalente al XVII secolo e patrimonio dell’Umanità UNESCO. È situata di fronte alla madrasa di Ulugbek, anch’essa fatiscente. La guida ci spiega che la madrasa Abdoullaziz è attualmente occupata da bancarelle e viene usata a mo’ di bazar dai commercianti locali, mentre la madrasa di Ulugbek, che non sembra avere nulla di speciale tant’è malandata, è in realtà la madrasa più antica dell’Asia centrale. È niente di meno che la madrasa usata come modello per tutte le altre, anche per il complesso del Registan a Samarcanda.
“Mi scusi, e lei non ce la voleva neanche mostrare?”, accusa il mio compagno di viaggio Daniele. Aziza è visibilmente imbarazzata. “C’è così tanto da vedere ed è così malridotta che non pensavo vi interessasse”, cerca di smarcarsi. Alcune delle madrase di Bukhara sono state restaurate dall’Unesco. Spero che si trovino presto altri fondi, perché consegnare all’oblio questo patrimonio sarebbe un peccato mortale.
Una passeggiata di una decina di minuti e arriviamo davanti all’Ark di Bukhara, la fortezza reale.
È l’edificio più antico della città, residenza degli emiri dal 400 al 1920, quando fu bombardata dai russi. Ancora oggi, l’80% della struttura è in rovina ed è possibile visitare solo alcuni ambienti restaurati, come la moschea Juma, l’appartamento del primo ministro, la corte e le scuderie.
Affascinante è anche lo Zindon, la camera delle torture, e il pozzo degli scarafaggi, profondo più di 6 metri, dove i prigionieri restavano al buio in compagnia di pulci, scarafaggi e scorpioni. In questo sito, così come in molti altri musei uzbeki, si può fotografare tutto con lo smartphone, ma se si ha una reflex si è costretti a pagare un supplemento. Se si viene colti in flagranza di reato, un mesetto nel pozzo degli scarafaggi e passa la voglia di comportarsi da turisti sfacciati!
Il nostro tour continua toccando la meravigliosa moschea di Bolo-hauz, situata accanto ad una delle poche vasche rimaste in città. Le spettacolari colonne scolpite in legno dipinto sono considerate tra le più belle dell’Asia centrale. Accanto, i russi hanno costruito una torre idrica alta 33m. Non potrebbe stridere di più!
Poco distante c’è il mausoleo di Chashma Ayub, la “sorgente di Giobbe”. La leggenda narra che Giobbe piantò qui il suo bastone facendo scaturire una sorgente in grado di curare da tutte le ferite. All’interno, incontro molti fedeli che pregano e bevono l’acqua con una concentrazione ed un fervore religioso davvero suggestivo.
Il tour finisce con una visita al parco Samani, dove è situato il mausoleo di Ismail Samani. Aziza sembra amarlo particolarmente. “Questo mausoleo è dedicato al fondatore della dinastia samanide. Finito nel 905, è il monumento musulmano più antico della città. È stato costruito in mattoni di terracotta, con un disegno molto elaborato che sembra cambiare durante la giornata, a seconda delle condizioni di luce”.
Aziza ci racconta che, durante la stagione secca, le opere in terracotta venivano impastate con latte di capra perché l’acqua scarseggiava e che questo mausoleo è stato usato come modello per costruire il Taj Mahal. Entrambi racconti mi lasciano perplesso, ma ne apprezzo l’elemento di folklore e decido di crederci.
“Questo è l’unico monumento dell’epoca samanide sopravvissuto alla furia di Gengis Khan, perché era stato sotterrato dai detriti di una precedente inondazione. È stato ritrovato solo nel 1934 da alcuni archeologi. Ha mura spesse 2m e non ha mai avuto bisogno di restauri”. Sarà merito del latte di capra!
Accanto al mausoleo, i russi hanno costruito un parco giochi, con tanto di giostre e ruote panoramiche in stile sovietico. Un altro esempio di integrazione stilistica fallita!
La nostra visita termina qui. Saluto Aziza, che mi consiglia di mangiare un buon plov per cena. Si tratta di un piatto tipico uzbeko, una sorta di pietanza nazionale, al pari della pasta per noi italiani. Nonostante ogni località abbia la sua variante personale, il plov ha un a peculiarità comune ad ogni variante: si tratta di riso stufato nello zirvak, un intingolo a base di carne di montone, cipolle, ceci, carote e spezie varie. Occorrono ore di cottura a fuoco lento per ottenere uno spezzatino di carne tenerissimo, che si scioglie davvero in bocca. Non mangio altro dal mio arrivo in Uzbekistan e continuo a mangiarlo volentieri. Soprattutto perché dicono sia afrodisiaco!
Il giorno successivo mi dedico a lunghe passeggiate pigre e torno sui luoghi che più mi hanno colpito. Per caso, mi imbatto nella galleria privata del fotografo locale Shavkat Boltaev.
Degli anziani sono seduti in un cortile e giocano a scacchi, mi avvicino per fotografarli e ci scambiamo qualche sorriso. È così che intravedo l’ingresso della mostra. Il fotografo espone e vende foto reportagistiche della Bukhara che fu.
I suoi scatti sono davvero buoni e spaziano dai ritratti ai paesaggi. Una foto attira il mio sguardo. Si vede una moschea o una madrasa, non saprei dire con esattezza, con quattro torri imponenti. Chiedo ad un ragazzo se sa dirmi come si chiama e lui risponde “Char Minar!”. È davvero suggestiva, così decido di trovarla. Parte una specie di caccia al tesoro personale.
Mi incammino lungo i vicoli e chiedo ai passanti “Char minar! Char Minar!”
Mi rispondono indicando una direzione con la mano, tutti con grandi sorrisi di complicità. Adoro questo popolo così aperto e generoso!
La caccia al tesoro mi conduce in una zona della città ai margini del centro storico. In un paio di snodi, temo di aver ricevuto indicazioni errate, perché inizio a perdermi in un dedalo di vicoli, tra lavatoi e case popolari diroccate. I tubi del gas spuntano dai selciati delle strade, sono fissati alle pareti esterne delle case, si inarcano, si snodano, ridiscendono senza alcuna protezione da urti involontari. Mi domando quale grazia divina eviti che salti tutto in aria!
Ad ogni modo, continuo a seguire le indicazioni e alla fine arrivo a destinazione. Char Minar! Eccolo!
Costruito nel 1807, in stile indiano, è una madrasa ornata da quattro torri piastrellate. Il nome significa “quattro minareti”, indicando la confusione dei locali circa la sua reale destinazione d’uso. Nel tentativo di stabilire se si tratti di una madrasa o di una moschea, una famiglia di commercianti vi ha stabilito il suo negozio di souvenir. Nel dubbio, è sempre meglio essere pratici, giusto? Pago un biglietto e salgo al piano superiore, potendo godere di una vista ravvicinata delle torri. Le ammiro a lungo, immaginando di aver trovato il mio posto segreto a Bukhara.
È pomeriggio inoltrato ormai. Domani lascerò Bukhara: il mio viaggio in Uzbekistan sta per portarmi a Samarcanda. È proprio il momento giusto per dedicarmi una coccola, quindi prenoto uno dei famosi hammam uzbeki.
Gli uomini e le donne non possono condividere gli stessi spazi e ci sono due strutture diverse, situate in strade diverse, per far sì che non si crei promiscuità. Mi immagino immerso sotto coltri di vapore, sorseggiando un tè caldo e aspettando di ricevere il mio massaggio. Quanto è pericoloso farsi certe aspettative!
Pochi minuti dopo, mi ritrovo sdraiato su una enorme pietra durissima mentre un ragazzo cerca di scrostarmi strati di pelle di dosso e mi tira gambe e braccia come se volesse slogarmele. “Piano, pleaseeeee!”
Anche l’igiene sembra difettare: veniamo tutti strofinati con le stesse spugne ruvide. Tra un cliente e l’altro, il massaggiatore si limita a dare una veloce strizzata alla spugna con dell’acqua fresca e poi… sotto a chi tocca!
Abbastanza frastornato dall’esperienza, cerco di tenere per me il mio disappunto.
A cena, incontro le ragazze del gruppo davanti alla solita porzione di plov. “Ti è piaciuto il massaggio?”, chiedo alla mia amica Giulia -sì, quella Giulia. La ragazza con il viso d’angelo e un’innata capacità di attirare guai-.
“A voi ragazzi è piaciuto?”, risponde lei con fare elusivo. Mi guarda con gli occhioni lucidi di un cagnolino abbandonato. “Per noi è stato terribile! Un donnone ci ha ordinato di denudarci, completamente, ci ha fatto mettere carponi, una vicina all’altra, in fila, tute nude! Ha gridato “Siete sporche!” ed ha iniziato a strofinarci forte con uno straccio! Ci sembrava di essere finite in un gulag sovietico!”.
Scoppiamo a ridere. Finiamo in nostro plov, sorseggiando birra. Ci divertiamo ad inventarci traumi e violenze psicologiche inaudite, a dipingere noi stessi come sopravvissuti al più cruento dei regimi.
Perché viaggiare non è solo visitare luoghi nuovi, ma anche lasciar correre la fantasia ogni tanto e immaginare di averci vissuto vite intere.
Ho visitato l’ Uzbekistan ed alcune delle sue meravigliose città tra cui Samarcanda e Bukhara, esperienza che consiglio vivamente.
Pensa che ci sono stata 45 anni fa i primi italiani, pensa le persone ci guardavano come noi potremmo guardare extraterrestri! Però ho un bellissimo ricordo.
Dopo aver letto il tuo articolo, ho cercato notizie sul fotografo Shavkat Boltaev e ho saputo che, purtroppo, é venuto a mancare nel marzo 2022
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8 Comments
Meraviglia!!!❤❤❤
Stupendo 💓💋