...Di quando per un attimo ho smesso di credere all'amore...
- AndreaMarchegiani
Kim Ki Duk - Viaggio in Yunnan - Ljiiang - Blog di Viaggi
Un viaggio azzera ciò pensavamo di sapere su noi stessi e mette in discussione tutto, persino la nostra idea di amore.
Sono una persona ipersensibile. Se lo siete anche voi, conoscerete già le mille croci e delizie di questa condizione caratteriale: sentire tutto, senza filtri, anche troppo. Leggere le notizie del giorno diventa un’esperienza al limite del traumatico, vedere un bambino rimproverato in un supermercato può cambiare l’umore della giornata.
Spesso ci immedesimiamo così tanto con ciò che gli altri sentono e pensano che ci sintonizziamo con loro fin nei più intimi dettagli, anche se sostengono punti di vista lontani dai nostri, anche se le loro posizioni sono inaccettabili. Si riesce addirittura a comprendere ciò che ha spinto un assassino ad uccidere e ci ritroviamo ad accogliere in noi stessi, non senza orrore, le motivazioni delle loro azioni. Ci risulta quindi impossibile giudicarli e si sprofonda in un sentimento di pietà per la miseria umana che li ha resi ciò che sono.
È una cosa che mi capita spesso, specialmente quando sono in viaggio e incontro realtà molto dure o costumi inconciliabili con i miei valori di riferimento.
L’ultima volta che mi è capitato ero in Kerala, durante una piacevolissima passeggiata tra le splendide piantagioni di tè di Munnar. La mia guida, che parla un ottimo inglese e ha modi gioviali, mi spiega come si svolge l’attività produttiva sulle colline dei Ghati occidentali: chi possiede le piantagioni, lo stile di vita dei lavoratori del posto e aneddoti divertenti su elefanti ubriachi che si addormentano sulle piante da té.
A pranzo ci fermiamo su un promontorio che dà accesso ad una vista spettacolare e decido di conoscere un po’ meglio questo giovane che mi ispira così tanta simpatia. Senza rendermene conto, sto per aprire un vaso di pandora.
Mi spiega che lavora come guida per mantenersi gli studi e che mette i soldi da parte per la dote della sorella. In India, infatti, è tradizione che le giovani donne portino in dote allo sposo una ingente quantità di beni. Inoltre, la sposa accetta che questa dote sia riservata esclusivamente agli eredi maschi, rinunciando ad ottenerne una parte per sé qualora venga ripudiata.
Benché questa pratica sia oggi illegale, è ancora molto diffusa e maritare una figlia femmina è uno sforzo economico davvero gravoso. Talmente gravoso che in Tamil Nadu nascere donne può equivalere ad una sentenza di morte. Si calcola che, nell’arco di tre generazioni, 50 milioni di femmine siano state abortite o uccise nella culla da genitori che non le volevano. Per non parlare delle secondogenite: per loro è stato coniato un termine apposito, “destinate alla fossa”. Se una famiglia ha accettato il fardello di allevare una bambina, l’arrivo di una seconda femmina può diventare infatti un peso insostenibile. Ho letto di un marito che, insoddisfatto della dote ricevuta, ha costretto la sposa a vendere un rene per aumentarne il valore.
Chiedo quindi alla guida se sua sorella è stata già promessa a qualcuno e se ha potuto scegliere il futuro marito. Gli indiani che lavorano nel settore turistico sanno che noi occidentali guardiamo con disapprovazione ai matrimoni combinati e non voglio creare conflitti culturali, ma sono davvero curioso di sapere cosa ne pensi un ragazzo così giovane e acculturato.
“Mia sorella è felice che i miei genitori scelgano al posto suo”, sentenzia con una punta di acredine. “Non volevo essere inopportuno, né giudicare”, mi affretto a dire. “Vorrei solo capire meglio”.
“Voi scegliete da soli chi sposare, ma tantissime persone poi divorziano. Quindi, scegliere da soli non significa sempre scegliere bene. Noi ci fidiamo dei nostri genitori: loro ci conoscono e sanno cosa è meglio per noi”.
“Ma come ci si può sposare senza amore?”, domando con estrema cautela.
“L’amore è un sentimento effimero. Oggi lo si prova, domani no. La stima e l’affetto invece crescono con il tempo, man mano che ci si conosce.”
Ho sempre considerato l’amore romantico un dogma intoccabile, quindi faccio fatica a capire. L’idea stessa di un matrimonio combinato mina alla radice ogni anelito di autodeterminazione. Come fanno gli indiani ad accettarlo?
“Per noi occidentali”, spiego al mio nuovo amico, “due persone si sposano solo se innamorate. Sin da bambini ascoltiamo favole in cui una principessa sposa un principe azzurro coraggioso che l’ha salvata da un maleficio e poi vivono per sempre felici e contenti. Quali sono le favole che si raccontano in India ai bambini? Non parlano di amore?”
“No”, risponde. “Le nostre favole parlano di persone povere che lottano per avere qualcosa da mangiare e che alla fine riescono a sfuggire alla miseria”.
Effettivamente ha senso: in una società colpita dalla piaga della povertà, il primo pensiero di una mamma è scegliere un marito che strappi sua figlia dall’indigenza. Allo stesso tempo, dal momento che la famiglia del marito accoglie la futura sposa in casa e si impegna a sfamarla per tutta la vita, chiede in cambio una dote che compensi questo sforzo economico.
Per un attimo, l’empatia che provo per la mia giovane guida mi gioca un brutto scherzo. Non solo abbraccio il suo punto di vista, me lo metto addosso… e inizio a sentirmi rassicurato all’idea che qualcun altro scelga al posto mio.
Immagino di essere una giovane sposa in procinto di legarmi a vita ad un uomo che non conosco; mi emoziona l’idea di affidarmi a lui, completamente, certa che i miei genitori abbiano scelto il meglio per me, grata della fatica economica che si sono sobbarcati per garantirmi una dote adeguata. Conoscerò mio marito con il tempo, avremo dei figli, invecchieremo insieme.
Spero che apprezzi le pietanze che cucino, che mi guardi con occhi buoni, che mi ascolti quando ho qualcosa da dire. Spero che lui non sia già vecchio, che non sia scorbutico, violento. Che non sia distante, indifferente, freddo. Spero che non mi odi solo perché avrebbe preferito un’altra, che non mi tradisca, non mi picchi. Gli basterebbe pronunciare per tre volte la parola “talaq” e sarei ripudiata all’istante. Devo essere docile, sottomessa, perché io non avrò parole magiche a cui appellarmi. Inizio a provare ansia, paura, mi sento perduta, impotente. Presto sarò proprietà di un uomo che non conosco.
Chi è empatico lo sa: si possono vivere vite intere nell’arco di pochi minuti. E io oggi sono stato una bellissima sposa indiana, prima amata, poi ripudiata.
Su un aspetto però la mia guida ha ragione: gli occidentali credono di poter decidere interamente del loro destino, ma spesso cadono vittima del “sogno americano”, fatto di carriere sempre in affannosa ascesa, accumuli di ricchezze fini a se stesse e una frustrante sequenza di relazioni affettive usa e getta. Vite vuote, piene di disperazione.
Eppure siamo liberi. Forse non sappiamo sempre cosa è meglio per noi, ma possiamo vivere e scoprirlo, commettendo errori e riparando ad essi. E, certo, alcuni condurranno vite aride, smaniosi di potere, ma altri troveranno un senso più profondo nel dare e ricevere amore.
5 Comments
Bellissimo, profondo e veritiero!!! Come le tue foto dei volti, che ne mostrano l’anima …
È un piacere leggere le tue storie. Bravissimo 👏
Articolo stupendo come sempre! …👏👏❤️