Sarò sincero: la Cina non era nella lista delle mie destinazioni del cuore. La Cina per me era solo il luogo da cui proviene la valanga di cianfrusaglie a basso costo che hanno inondato i mercati negli ultimi anni. Non avevo capito che il futuro è là ed ha gli occhi a mandorla.
Parto per Shanghai ad agosto, il periodo peggiore per visitare una città calda, piovosa, umidissima e brulicante di persone. Avevo scelto un’altra destinazione ma diverse circostanze mi hanno depistato fino a qui. “Vai a Shanghai ad agosto?”, mi chiede la mia amica Marta. “Le temperature e l’afa sono bestiali. Ammiro il tuo coraggio”. Ho appena fatto il biglietto aereo e già me ne pento.
All’arrivo in aeroporto, di fronte alle espressioni amimiche e severe degli ufficiali di dogana provo fastidio e disagio. Solo ora mi rendo conto di portare con me un risentimento nascosto verso un paese che conosco solo dalle pagine dei quotidiani. In fondo, non siamo tutti un po’ critici verso una Cina che sembra aver rinnegato i suoi valori tradizionali per divenire la nuova potenza capitalistica mondiale, che produce da sola più della metà dell’inquinamento globale e che di certo non brilla per libertà di pensiero o cura delle minoranze?
Il mio risentimento è motivato, mi rincuoro. Con la tipica doppia morale dell’occidentale. “E non si sforzano nemmeno di pronunciare decentemente quel minimo di inglese che sanno”, commento mentre ritiro il mio passaporto. “Il cinese è la lingua più parlata al mondo”, risponde il mio compagno di viaggio Daniele. “Forse dovremmo impararlo noi”. Penso a Catullo, Dante, al mio amato Pirandello e li vedo relegati a irrilevante minoranza linguistica.
Mi faccio forza pensando al cibo cinese che mangerò per 3 settimane. Involtini primavera, spaghetti di riso e pollo alle mandorle. Adoro il cibo cinese! Ecco, ho trovato un terreno di incontro. Sono pronto per visitare Shanghai.
Arriviamo di notte, sotto un’impietosa pioggia monsonica. Cerchiamo di prendere un taxi, ma nessuno ci vuole caricare. Si fermano, ci guardano, mostriamo il nome del nostro albergo, loro fanno una smorfia disgustata e ripartono.
L’ansia ci assale. Qui non funziona Google, non possiamo scaricare le mappe né comunicare tramite Whatsapp. Per fortuna, Maria ha portato con sé un GPS che ci indica approssimativamente la direzione. Zuppi fradici, siamo costretti a trascinarci le valigie sotto la pioggia per due chilometri fino all’albergo.
Soltanto due settimane dopo, chiedendo ad una guida locale, capiremo che di sera i tassisti si scelgono l’ultima corsa in una zona che sia vicino casa, così da staccare dal turno senza dover attraversare la città.
Lasciate le valigie in albergo, stanchi e sfiduciati, mangiamo nel primo locale che troviamo. È un fast food americano. Niente involtini primavera stasera. Sembra che tra me e la Cina non ci sia molta sintonia.
Con i suoi 32 milioni di abitanti, Shanghai è la città più popolosa del mondo. Nella sua area metropolitana, ospita circa la metà degli abitanti dell’intera Italia.
La capacità di gestione dei flussi è essenziale e, dopo aver girato un po’ per la città, rimaniamo sorpresi dallo scorrere fluido del traffico e dal silenzio. Quasi tutti si spostano in bici o in motorini rigorosamente elettrici.
Ai viali delle strade, ci sono alberature curate di gingko e platani, che donano un’inaspettata atmosfera europea. “Guardate, nonostante gli alberi ci sono pochissime foglie a terra. Come è possibile?”, chiedo. In quel momento, vediamo uno spazzino passare a piedi e raccogliere le singole foglie cadute. Una ad una. Rimaniamo a bocca aperta.
Un’altra sorpresa ce la riservano le linee della metropolitana. In ogni stazione ci sono gli stessi controlli a cui siamo abituati in aeroporto. Ci perquisiscono, controllano i documenti e le bottiglie d’acqua con degli scanner. I poliziotti sono velocissimi e incredibilmente non si creano file.
I cinesi passano mostrando il cellulare, sul quale c’è un codice QR contenente tutti i dati personali. Ai tornelli, dove noi inseriamo il biglietto, loro appoggiano di nuovo il cellulare e pagano con la carta di credito collegata al codice. Tutto scorre senza intoppi come un meccanismo ben oliato, con un controllo totale sull’identità dei passeggeri e il loro tragitto.
Gironzoliamo qualche ora per il vecchio quartiere francese, dove le famiglie borghesi europee si sono stabilite nel corso del XIX secolo.
Oggi la zona è molto frequentata dai turisti e pullula di locali e negozi di lusso. Si può mangiare di tutto e scopro che i cinesi hanno una vera ossessione per i cibi divertenti: dolcetti di riso di ogni forma e colore, caramelle fumanti all’azoto liquido, bastoncini di mozzarella fritta filante. Si respira un’atmosfera gioiosa simile a quella che c’era in Italia negli anni ’80 durante il boom economico.
La sera ci dirigiamo verso il viale Bund, lungo la riva del fiume Huangpu. Da qui si può ammirare il distretto degli affari di Pudong, che negli ultimi anni ha visto la costruzione di altissimi grattacieli come espressione dello sviluppo economico cinese.
Tra questi la Shanghai Tower, che con i suoi 492 m è la costruzione più alta della Cina (e il secondo grattacielo più alto del mondo). Di sera, grazie alla spettacolare vista dei grattacieli illuminati, il Bund diventa la principale attrazione turistica di Shanghai.
La folla aspetta spensierata che si accenda la “Perla d’Oriente”, la torre della televisione con le sue 5 sfere fucsia. Si tratta quasi esclusivamente di turisti cinesi.
Al tramonto, seducenti giochi di luci animano il panorama: imbarcazioni luminose sfilano lungo il fiume per attirare l’attenzione. I bambini restano a bocca aperta davanti ad una tale magia. I giovani scattano foto e si fanno dei selfie. Gli anziani hanno visto tanti e tali cambiamenti in così pochi decenni che forse sono i più increduli di tutti.
Terminiamo la serata a People Square, dove sono il teatro dell’opera e diversi musei. Con i suoi 140.000 mq, la piazza è talmente grande che hanno realizzato un parco al suo interno e quindi ci si cammina intorno senza mai capire dove effettivamente sia la piazza. Anche qui i turisti passeggiano tra le vetrine negozi e guardano il mondo attraverso la fotocamera dell’iphone.
Non amo questo tipo di scenario – la folla, lo shopping, il consumismo. Credo che Maria abbia letto un po’ di noia nei miei occhi. È stata in Cina diverse volte e ha già visitato la città. “Andrea, non avrebbe senso venire nel centro della Cina senza vedere le grandi città come Shanghai e Pechino. Ma appena ci sposteremo nell’entroterra vedrai una realtà tutta diversa. Ed è importante vedere entrambe le cose”.
Qualcosa mi dice che ha ragione.
Maestro belle inquadrature e momenti di vita naturalissimi, bravo’
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3 Comments
Bhe dopo aver visto queste foto e letto il tuo racconto mi sono sentita un po’ a Shangai anche io…. aspetto la prossima puntata….
spettacolo! Aspetto la seconda puntata ma c’ho poca pazienza quindi SBRIGATE! 😀