Langmusi. Non è Tibet, ma è lontana anni luce dalla Cina. Visito la città monastero e all’improvviso ho la sensazione di aver sempre desiderato arrivare qui. Ma forse è l’ennesimo cortocircuito di questo strano viaggio.
Ci siamo. Finalmente. Dal mio arrivo in Cina, una decina di giorni fa, abbiamo percorso più di 2.500 km. Abbiamo viaggiato in aereo, in treno, in autobus e nave; ci siamo spinti sempre ad ovest, nell’entroterra. Abbiamo visitato metropoli come Shanghai e piccoli paesi come Tongli, una Venezia cinese congelata nel tempo; abbiamo dato la caccia ai Panda nella riserva di Chengdu, alla disperata ricerca delle coccole perdute; abbiamo incontrato migliaia di persone, da tassisti scontrosi a giovani accoglienti e generosi. Il mio cuore si è aperto poco a poco, accettando le diversità, le scomodità e le contraddizioni di cui, a mia volta, sono stato portatore.
Il caldo afoso che ci ha tormentato finora ha lasciato il posto al fresco montano. Fremo all’idea di visitare i monasteri buddisti di Langmusi e Labrang: i miei sensi si acuiscono e tentano cogliere ogni dettaglio, ogni sfumatura. All’improvviso ho la sensazione di aver sempre desiderato arrivare qui. Ma forse è l’ennesimo cortocircuito di questo strano viaggio.
Langmusi è il nome di un monastero buddista fondato nel 1748 all’estremo oriente dell’altopiano tibetano. Incastonato come una gemma sulla linea di confine tra la provincia di Gansu e Sichuan, ad un’altitudine di 3000 m, è circondato da montagne e foreste alpine. Attualmente ospita circa 1.000 monaci, mentre il piccolo villaggio sorto a ridosso del monastero conta 3.000 abitanti.
Ho già avuto modo di notare l’intensità della devozione buddista al Milarepa palace, ma qui ci si può immergere in essa fino a trasalire.
Langmusi è infatti meta di pellegrinaggio e i fedeli vi giungono a piedi da tutta la regione, camminando per settimane. Si prostrano a terra ogni 3 passi e poi si rialzano, per prostrarsi di nuovo al successivo terzo passo. Quale fervore mistico li spinge ad abbracciare una simile fatica? Quale coraggio e quanta tenacia sono necessari per resistere ora dopo ora, un giorno dopo l’altro?
Arriviamo al villaggio nel tardo pomeriggio, posiamo velocemente i bagagli e iniziamo a gironzolare. È l’ora d’oro: il sole sta per tramontare e proietta lunghe ombre drammatiche al suolo. Seguiamo la strada principale che sale fino alla porta del monastero. Paghiamo il biglietto ed entriamo. Centinaia di piccole abitazioni in muratura e lamiera sono disseminate ai piedi del tempio principale.
Ne escono gruppi di monaci e prendono la salita. Alcuni portano stoviglie, altri legna o candele di yak. Ci guardano, sorpresi dalla nostra presenza. Io sorrido a tutti e faccio “ciao” con la mano. Provo un profondo senso di ammirazione per loro e, quando un paio di ragazzi si fermano a parlare con noi, sono emozionato come un bambino.
“Where you from?”, ci chiedono.
“Italy.”
“Ah, Italy! You strangers are so cool!”
“Thank you”, rispondo. “You are so cool, too. Chinese people are awesome!”.
Il ragazzo diventa serio, come se avessi detto una cosa orribile. “I am not Chinese”, si affretta a dire. “I am Tibetan”.
Seppellitemi ora, in fretta.
Volevo ricambiare un complimento e invece ho offeso il Tibet, il Dalai Lama e credo che anche Buddha si stia rivoltando nella bara.
“Well, you Tibetan people are even better!”, commento con una risata distratta (mica tanto distratta). Il ragazzo si illumina e ride insieme a me, soddisfatto. Io tiro un sospiro di sollievo.
Tutti mi dicono che in Cina è meglio non parlare del Tibet. Allora forse in Tibet è meglio non parlare di Cina.
Proseguiamo verso il tempio. I monaci più giovani, ancora bambini, scorrazzano avanti e indietro rincorrendosi e scimmiottandosi. I loro visi allegri e il suono delle risate mi scaldano il cuore. La temperatura, al contrario, si fa sempre più rigida: la luce è in caduta libera e ogni metro che cade nel regno del buio si raffredda subito. Battendo i denti, torniamo in albergo. Il villaggio, illuminato dalle insegne dei negozi, ci regala scorci a dir poco suggestivi.
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2 Comments
Molto interessante e sentito anche il commento…
Come sempre Amazing Andrea writer and image ‘s catcher