
Continuavi a toccare i monaci. Chissà se è lecito toccare un monaco o se è vista come una mancanza di rispetto.
È mattino presto. Il cielo è nuvoloso e carico di pioggia, ma dicono che schiarirà col passare delle ore. Saluto Labrang a malincuore, con la promessa di ricordare. So già che, al mio rientro in Italia, tutto questo si sfocherà. Ci saranno di nuovo le serate passate a guardare Netflix, le cene con gli amici all’All You Can Eat giapponese. Messaggini sullo smartphone ogni minuto, decine di notifiche sui social a sostenere l’autostima. Tutto questo sembrerà un lontano ricordo.
Eppure Labrang esiste ( e resiste) ancora oggi, nel 2018; non è l’altrove ipotetico di una dimensione parallela. Lascio scorrere questi pensieri mentre mi inoltro nelle praterie silenziose di Ganja, contea di Xiahe, prefettura autonoma tibetana di Gannan, provincia di Gansu. Cina. Voglio fissarlo per iscritto: questo luogo ha delle coordinate geografiche precise. Potrò tornarci se vorrò. È reale, non lo sto sognando.
Mentre torniamo all’autobus, Daniele si avvicina a me e commenta. “Sono stati davvero gentili. Continuavi a toccarli. Chissà se è lecito toccare un monaco, chissà se può venir vista come una mancanza di rispetto”. Tutte cose a cui ovviamente non avevo pensato. Volevo solo sentirli vicini, forse abbiamo tutti bisogno di sentirci vicini. O sono solo una persona invadente?
Entriamo in silenzio in uno dei tempi e troviamo i monaci intenti a produrre delle candele votive con il burro di yak. Ci scambiamo degli sguardi di saluto. A gesti chiediamo di poter assistere al procedimento, loro sorridono e fanno cenno di sì. Sì e no sono concetti universali. Anche senza parole, possiamo esprimere assenso o rifiuto con la forza di un gesto. Anche la gentilezza è universale, penso. Tutti la comprendono e tutti la apprezzano. E con gentilezza si avvicina a noi un ragazzo, sventolando un mazzo di chiavi. Ci fa più volte cenno di seguirlo. Non capiamo cosa voglia, ma lui insiste e lo assecondiamo. Ci porta a vedere tutti gli altari del monastero: un tempio dopo l’altro, apre il lucchetto della porta di ingresso e ci invita ad entrare. Gli chiedo di poterlo fotografare. Acconsente. È molto timido e si sforza di regalarmi un sorriso. È davvero tenero e anche io voglio fargli un regalo. Non lo fotograferò più, così non proverà altro imbarazzo.
11 Comments
Bellissime foto e un racconto che ti sembra di essere lì!
Che dire, un racconto leggero come un soffio che tocca l’anima, la bambina con il fiore in mano? Io l’avrei abbracciata e baciata all’infinito. Puro incanto.
Grazie di cuore ❤ per aver condiviso tanta bellezza e meraviglia con cosi tanta gentilezza da riscaldare ogni cuore.
Le sue foto è quanto da lei scritto mi hanno colpito sino alla commozione. Sapesse quanto desidero fare un viaggio e degli incontri come questi. Ormai so che non lo potrò fare ma se dovesse capitarmi non mi lascerò scappare l’occasione e forse non tornerò più indietro. Sul volto di quei monaci e dei bambini è palpabile la felicità. Felicita’ fatta di piccolissime cose, la natura, un momento di tranquillità, uno sguardo al paesaggio e la consapevolezza della propria forza vitale. Grazie per avermi resa partecipe di tanta bellezza, continuerò a seguirla.
ciao Andrea ti capisco MOLTO BENE sono stata a Labrang anche chiamata Labulengh varie volte conosco benissimo il Gansu con i suoi immensi prati i cavalli i rododendri nani le genziane l isola degl uccelli…..il thè con il burro di yak….e tant altro. Ci ritornerai se così dev essere.
Fantastica esperienza !!!
Grazie mille per le immagini, le parole..
Non posso che commuovermi di fronte a questa esperienza,a questo universo,a dimensioni di una spiritualità che vorremmo fossero universali
Belle foto, bellissimi i bambini.
Che dolcezza in questi bimbi e che dolce la tua anima, bellissimo ciò che hai scritto. Complimenti!
Che belli questi volti di bimbi…quanta dolcezza, fa bene al cuore