Fotografo di viaggio e blogger, Andrea Marchegiani ci accompagna alla scoperta delle bellezze naturalistiche del Senegal, uno dei paesi più ospitali dell’Africa.
© Articolo e Foto di Andrea Marchegiani. Vietata ogni riproduzione non autorizzata.
Concesso per la pubblicazione a PHOTO PROFESSIONAL di Agosto 2019
BIO| Andrea Marchegiani è un fotografo di viaggio e blogger. Laureato al DAMS in cinema e sceneggiatura con una tesi sul road movie, prosegue i suoi studi frequentando corsi di giornalismo, fotografia, ripresa e montaggio video. Un profondo interesse per i popoli e le culture straniere lo spinge a visitare destinazioni poco frequentate dal turismo di massa: Ecuador, Kazakhstan, Birmania, Cina, Nepal, Etiopia, Botswana… Nel suo blog di viaggi, coniuga la passione per la fotografia all’amore per la scrittura.
Sono partito per il Senegal durante le festività natalizie, allettato dall’idea di trascorrere un capodanno insolito nella città coloniale di Saint Louis e passare qualche giorno tra il parco nazionale di Djouji, con il sua ricca fauna aviaria, e il deserto di Lompoul, con i suoi profondi cieli stellati. Ma sono state altre mete a lasciare un segno, luoghi forse di minor svago ma che mi hanno consentito di entrare più a contatto con la storia e la realtà quotidiana. Come l’isola di Goree e Joal Fadiouth. La prima dista pochi km dal porto di Dakar ed è situata nella parte più occidentale dell’Africa. Oggi i turisti passeggiano per le graziose stradine colorate, su cui affacciano affascinanti palazzi in stile coloniale, e si respira un’atmosfera spensierata. Ma per secoli Goree è stata un luogo tristemente strategico per il traffico di schiavi. Da qui infatti sono partiti milioni di uomini e donne africane, rapiti nelle loro terre e deportati negli Stati Uniti per lavorare nei campi di cotone e di canna da zucchero. La visita guidata alla Casa degli schiavi è una tappa obbligata per comprendere meglio questa tragica pagina di storia ed assicurarsi che non si ripeta.
Joal Fadiouth colpisce invece per il messaggio di tolleranza religiosa che trasmette. Joal è un piccolo villaggio di pescatori della Petit Cote nel sud del paese. Un ponte di legno la collega all’isolotto di Fadiouth, formato interamente da gusci vuoti di conchiglie, accumulate qui nel corso dei secoli dai pescatori di molluschi. Lunga solo poche centinaia di metri, l’isola è adibita a cimitero. C’è una profonda saggezza nell’ecologia di questo processo: i pescatori riposano infatti tra quelle stesse conchiglie che in vita hanno pescato. Fadiouth è anche l’unico cimitero del Senegal in cui sono sepolti insieme cristiani, musulmani e animisti. Passeggiando lungo i vialetti, ombreggiati da imponenti baobab, ogni famiglia onora la memoria dei propri defunti. I pescatori di Joal Fadiouth sembrano dirci che nessun credo religioso può separare i destini di chi ha pescato nello stesso mare.
Bisogna essere molto rispettosi e capire se c’è disponibilità a lasciarsi fotografare. Questo consiglio, valido in generale, diventa in Senegal una questione cruciale. Le persone qui non sono abituate al turismo internazionale e sono molto diffidenti. A Kayar, uno dei più grandi porti di pesca artigianale del Senegal, l’accoglienza è stata molto fredda. I pescatori utilizzano ancora piccole imbarcazioni di legno colorato, ciascuna con un decoro unico che individua il proprietario. Quando le piroghe rientrano sulla terra ferma, si assiste ad uno spettacolo mozza fiato. I pescatori fanno la spola freneticamente tra la spiaggia e le piroghe, trasportando sulla testa grandi casse traboccanti pesce. Le donne lo puliscono e lo stipano in appositi contenitori, mentre i bambini più poveri raccolgono il pesce caduto dalle cassette e scappano via per portarlo alle loro famiglie. Sarei rimasto ore a fotografare questo spaccato ma i pescatori mi hanno chiaramente fatto capire che le foto non erano gradite, quindi ho tolto il disturbo dopo pochi minuti. Ho riscontrato la stessa ostilità anche altrove. È stata una raccoglitrice di ostriche a Jaol Fadiouth a spiegarmene il motivo. Per i senegalesi è motivo di imbarazzo essere fotografati sporchi e in abiti da lavoro. Bisogna comprendere sempre le circostanze, quindi. Ho trovato anche tanta accoglienza. I Peul, ad esempio, che si considerano l’etnia più bella del mondo, si fanno fotografare volentieri e le donne si agghindano appena vedono una macchina fotografica.
Si può organizzare il viaggio tramite agenzia dall’Italia o gestirsi da soli, contattando guide locali che spesso parlano un ottimo italiano. Sapranno indirizzare i viaggiatori ed evitare loro esperienze spiacevoli.
Ciascuno deve valutare quanto peso riesce a trasportare nello zaino. Personalmente preferisco viaggiare scomodo ma avere più attrezzatura a disposizione. Se dovessi scegliere una sola ottica porterei senza dubbio uno zoom tutto fare, come un 24-70 f2,8. Ma è molto utile avere anche un teleobiettivo per immortalare soggetti e situazioni senza far notare la propria presenza.
ALLA SCOPERTA DELLA TERANGA
Diogane, nel delta del fiume Saloum, a circa 125 chilometri dalla capitale Dakar, è un villaggio in cui è di casa la fatica. Le donne raccolgono molluschi e ostriche d’acqua dolce sulle radici delle mangrovie. Gli uomini pescano nel fiume. Nel villaggio non c’è elettricità quando non c’è il sole e non c’è acqua nei serbatoi quando non piove per lunghi periodi. Eppure è qui che ho trovato la Teranga, la famosa ospitalità senegalese, il culto dell’ospite da accogliere con ogni riguardo e calore. L’Africa sembra ripetermi, come un mantra, che quando si ha poco si è pieni di gioia”.
Non dimenticherò mai i bambini del villaggio Diogane, che conta 2.000 abitanti, nel delta del fiume Saloum. Qui ci sono una piccola scuola e un’infermeria e c’è sempre bisogno di quaderni e medicinali. In questa parte del Senegal, l’etnia predominante non è quella Wolof, come a Dakar e Saint Louis, ma quella Seher. La loro gentilezza e accoglienza resterà sempre dentro di me. Ho potuto fotografare i pescatori e condividere la loro fatica, oltre che giocare liberamente con i bambini per le strade. A scuola, gli alunni mi hanno accolto con grandi sorrisi e si sono divertiti a farmi sedere tra i loro banchi e fingere di essere i miei insegnanti. È questo genere di ospitalità che scalda il cuore di chi ha la fortuna di viaggiare in Africa. In Senegal la chiamano Teranga, una forma di generosità solidale che fa sentire lo straniero al sicuro, circondato da amici.
Andrea Marchegiani collabora con Domiad Photo Network, il più grande network nazionale dedicato alla Fotografia e strutturato in Forum Web, Blog, Canali Ufficiali su Facebook, Telegram e Twitter, oltre ad essere ramificato sul territorio tramite le due delegazioni ufficiali del Canon Club Italia e Nikon Club Italia per ogni regione italiana.
Sono stata in Senegal. Ho dei ricordi molto belli di luoghi e persone conosciute. Bello il tuo servizio. Descrivi bene le situazioni. Complimenti 👏😍
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4 Comments
Servizio molto bello!Ottimo lavoro nella descrizione dettagliata di luoghi,persone,costumi…Ho letto tanto in relazione delle etnie,agli idiomi etc dell’Africa occidentale!Bravissimo!
Ci sono stata tre anni fa, immagini bellissime…