“Non fidatevi dei vecchi manoscritti, non credete una cosa perché il vostro popolo ci crede o perché ve l’hanno fatto credere fin dall’infanzia. Ad ogni cosa applicate la vostra ragione; quando l’avrete analizzata, se pensate che sia buona per tutti e per ciascuno, allora credetela, vivetela, e aiutate il vostro prossimo a viverla a sua volta”.
– Buddha
Prima di lasciare Varanasi, decido di fare una veloce fermata a Sarnath, che si trova una decina di km a nord della città, dove oggi sorge un santuario dedicato alla figura di Gautama Siddharta.
Qui, infatti, nel 527 a.C., il Buddha iniziò la sua predicazione ed espose ai suoi seguaci i sermoni che contengono il cuore della dottrina buddista: le quattro nobili verità e l’ottuplice sentiero. A memoria dell’evento, nel corso dei secoli furono costruiti stupa, monasteri, templi e scuole.
Purtroppo, nel 1194 d.C. la città fu distrutta dalla furia del conquistatore musulmano Qutubuddin Aibak e solo nel 1834 le rovine di Sarnath furono riportate alla luce da un archeologo inglese.
Oggi Sarnath è uno dei quattro siti più importanti per i buddisti. Nel 1998, il governo indiano ha chiesto all’UNESCO di inserirlo nella lista dei patrimoni dell’Umanità.
Arrivo a Sarnath di mattina presto. Il parco archeologico è completamente avvolto dalla nebbia. Si può a malapena intuire la disposizione degli stupa. Mentre passeggio, mi stringo nelle spalle a causa del freddo intenso. In lontananza, intravedo lo stupa Dhamek, costruito nel luogo dove Buddha espose il primo sutra ai cinque asceti. Con i suoi 30 metri di diametro e 35 di altezza, questa torre simboleggia la ruota del Dharma, ovvero il ciclo delle reincarnazioni.
Poco distante, un monaco medita in solitudine, incurante della nebbia e del freddo. Il suo cane gli resta vicino, rendendo la scena talmente poetica da spezzarmi il fiato.
Se c’è una filosofia che fa vibrare le corde del mio spirito, questa è senza dubbio il Buddismo.
Sei secoli prima della nascita di Gesù, un principe indiano lasciava la sua vita di fasti e ricchezze per dedicarsi alla ricerca della verità.
Dopo essersi unito ad un gruppo di asceti che praticavano la rinuncia totale ad ogni bene e rigidi digiuni, Siddharta decise di abbandonare queste pratiche estreme per trovare la giusta via di mezzo.
Se, infatti, la vita di privilegio che aveva condotto a palazzo lo aveva tenuto all’oscuro della sofferenza in cui versava l’umanità, una mente poco lucida, sfibrata dalla fame, non avrebbe potuto carpire l’essenza delle cose.
Così, in totale solitudine, Gautama Siddharta proseguì il suo percorso fino a raggiungere l’illuminazione.
E proprio qui, a Sarnath, espose i capisaldi della sua dottrina: nella vita è insita la sofferenza e la sofferenza è causata dal desiderio, dall’avidità; nel cercare la felicità in ciò che è transitorio, l’uomo vive una vita di continua insoddisfazione. Beni materiali, potere personale, salute e giovinezza, la vicinanza alle persone care, la nostra stessa vita – tutto è transitorio. Attaccandoci a queste cose, ne soffriremo la mancanza o la perdita.
Ma Siddharta si spinse oltre nel suo ragionamento, fino a comprendere che la sofferenza può essere rimossa, a patto di rimuovere il desiderio che la causa.
Nel Nobile Ottuplice Sentiero, il Buddha individua i pensieri e i comportamenti che liberano dalla morsa del desiderio. L’elemento più rivoluzionario della visione buddhista risiede, a mio avviso, nel fatto che la comprensione della natura del dolore ne produca essa stessa l’estinzione. Tutto accade dentro di noi.
Inoltre, la sofferenza è vista come un incidente della vita, non una colpa da espiare. Non c’è nessun Dio che ci punisce o ci premia; per questo, non sono necessari riti propiziatori né cerimonie riparatrici. Quando la mente vede con chiarezza, il desiderio e la bramosia di possesso semplicemente cadono e non c’è più spazio per la sofferenza. “La pace viene da dentro”, diceva. “Non cercarla fuori”.
Come non provare ammirazione per Gautama Siddharta, il Buddha. Grazie a lui, nel VI secolo a.C. la filosofia toccò il suo apice. Per 26 secoli, dotti e filosofi ne hanno ammirato la lucidità di ragionamento. Eppure la storia dimostra che pochi ne hanno seguito l’esempio. La stessa India, culla del Buddismo, sembra avergli voltato le spalle.
Oggi solo l’0,8% degli indiani è buddista. Una inezia se confrontata con l’80% che si professa induista.
Cerco di immaginare il Buddha che passeggia per questi viali alberati o che medita assorto all’ombra di un ramo. E capisco che, oltre al valore archeologico, questo luogo ha soprattutto lo scopo di testimoniare il messaggio di cui il Buddha è stato portatore. Sarnath esiste per ricordarci che l’unico modo di cambiare il mondo è cambiare se stessi. Ogni volta che ci sentiamo persi, sfiduciati o confusi, possiamo ripartire da qui.
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2 Comments
Qui ci sono stato, ed era una giornata simile, come simili sono i sentimenti provati!
Che meraviglia!