I turisti mi guardano sbalorditi e mi chiedono: “Come si chiamano quelle montagne?” Si chiamano Kyzylkup, ma non se lo ricorda mai nessuno e quindi rispondo: “Sono le montagne del tiramisu!”
– Sergey Khachatryan
Sono nel deserto del Mangystau, in Kazakhstan, da qualche giorno ormai e una cosa credo di averla capita. Quando ti trovi un un luogo così dimenticato dall’uomo, circondato da una natura tanto maestosa, inizi a sentirti in pace con te stesso e col mondo. Nel Mangystau si stimano solo un migliaio di turisti all’anno. È più facile imbattersi in un cammello che in un altro essere umano. Quando succede, l’appartenenza alla stessa specie rende subito amici.
Sergey Khachatryan, la nostra guida, è un uomo felice e infaticabile. Si alza all’alba prima di tutti, ci prepara la colazione, poi ci porta in giro su strade faticosissime fino al tramonto, quando sceglie un posto dove accamparsi; ci aiuta a montare le tende e organizza la cena. Porta la macchina fotografica sempre al collo e ci scatta foto in continuazione. Dovrebbe chiedere un extra per il servizio, penso. Sergey ci fotografa ad ogni fermata, su ogni scorcio, e senza perdere mai il sorriso. Appena ha un momento libero, apre il portatile e scarica le foto dalla scheda di memoria. “Prima di salutarci, vi darò tutti i file!”, ci ripete ogni volta. Non so come rispondere davanti a tanta generosità.
È evidente che Sergey ama il suo lavoro e protegge ogni sasso di queste lande desolate. Sprizza gioia in ogni istante della giornata e si emoziona come un bambino davanti ad ogni panorama. Forse tutto quello che serve per essere felici è una vecchia reflex dalle prestazioni ormai scadenti, un cambio di vestiti impolverato e una jeep col serbatoio pieno. Di sicuro per Sergey sembra aver funzionato.
Oggi mi porta alle Tiramisu Mountains, un luogo tanto straordinario quanto sconosciuto. Non ci sono segnali stradali a condurci qui e le strade sterrate sembrano davvero tutte uguali. Ho sentito dire che nemmeno i locali conoscono queste formazioni rocciose. La jeep si ferma su un punto panoramico. Una vallata dai rilievi morbidi si estende da un capo all’altro dell’orizzonte. La luce pomeridiana rende le ombre accattivanti.
“Guarda come il terreno si screzia di marrone. Vista da quassù, sembra una spruzzata di cacao in polvere”, commento.
“Andrea!” Sergey si avvicina a me con la faccia di un bambino che ha appena compiuto una marachella. “Queste sono le montagne del tiramisù!”
Prima di partire, avevo cercato su internet qualche informazione su questo posto. Non avevo trovato niente, a parte il diario di viaggio di una ragazza cinese ed un redazionale di un tour operator. Entrambe le fonti non riuscivano a fornire i dettagli precisi di dove si trovasse, a parte che è situato nel distretto del Karakiyansky Rayon; e non ne conoscevano il nome esatto, ma lo definivano “Tiramisu Hill”.
“Il nome gliel’ho dato io!”, ride Sergey.
“Come? Hai dato il nome alla montagna?”
“Sì! Una turista tempo fa mi ha chiesto il nome di queste montagne. Si chiamano Kyzylkup, ma non se lo ricorda mai nessuno. Allora le ho detto che sono le montagne del tiramisù! Da quel momento, abbiamo tutti iniziato a chiamarle così”.
In effetti sembra proprio un tiramisù! Le colline digradano dolcemente e il terreno alterna i colori crema e cacao… sembra proprio una crema al mascarpone!
“La turista però non era ancora soddisfatta e mi ha chiesto perché alcune striature fossero di colore rosa”, continua Sergey. “Perché ci mettiamo lo sciroppo alla fragola! Infatti, quella montagna là si chiama Strawberry Tiramisu!”
Sergey scambia uno sguardo di intesa con Aset, l’interprete, e gli altri autisti. Tutti annuiscono divertiti.
Sono senza parole.
Mi diverte da morire l’idea che una guida turistica che vive in un posto dimenticato dal mondo possa inventare un nome per un luogo a cui nessuno ha mai pensato di darlo e che questo nome inizi a girare in rete.
“Sono sicuro che sarai ricordato dai posteri come l’uomo che ha battezzato questo posto!”, gli rispondo prendendolo sotto braccio. “Appena torno a casa scriverò di te, Sergey, e delle tue grandi gesta!”
Risaliamo in auto e ci dirigiamo verso le Montagne del Tiramisù. Stanotte ci accamperemo proprio ai loro piedi.
Viste da vicino, l’effetto meringa è ancora più realistico. Mi sento un folletto, uno gnomo, un uomo miniaturizzato che è finito per sbaglio dentro una pirofila di dolci e che deve scalare una montagna di crema e biscotti.
Il terreno è friabile e si rompe ad ogni passo. Ho voglia di prenderne un pezzetto ed assaggiarlo. Se sapesse di zucchero non sarei affatto stupito.
Sono felice che questo posto sia così poco conosciuto e frequentato. Non sopravvivrebbe ad un turismo di massa. Il Mangystau è riuscito a mantenersi incontaminato solo per questo. I pochi turisti che lo visitano hanno avuto il rispetto necessario per preservarlo. Non ho trovato cartacce in giro finora, né bottiglie di plastica. E non ho intenzione di lasciarne.
Dopo aver gironzolato un po’ sulle morbide vette del massiccio, scendiamo a valle dove i colleghi di Sergey stanno montando il campo per la notte. La vista mi lascia senza fiato. Che privilegio poter dormire proprio dentro le increspature delle colline!
La mattina seguente ci alziamo di buon’ora e Sergey ci invita per un breve trekking. Esploriamo parte della zona, con tutte le sue curve e striature oniriche. Sembra di trovarsi in un’ambientazione surrealista. Se dietro una duna scorgessi un cammello che indossa un tutù rosa, ne prenderei atto senza batter ciglio.
Sergey ci mostra un dente di squalo che ha trovato a terra. Questa zona, così come tutto l’altopiano dell’Ustyurt, un tempo era coperto dall’oceano di Tetide. Stiamo parlando di circa 250 milioni di anni fa. Poi le placche antiche si avvicinarono fino a chiudersi, portando l’Asia e l’Africa nella posizione attuale.
L’oceano Tetide scomparve, ma lasciò traccia di sé nel mar Mediterraneo, nel Mar Caspio e nel lago d’Aral. Questi ultimi delimitano l’altopiano Ustyurt ad ovest e ad est. I massicci rocciosi del Mangystau rivelano il loro passato proprio grazie ai numerosi resti fossili in cui è davvero facile imbattersi.
Il nostro trek finisce troppo presto. Saremmo rimasti a gironzolare qui per ore, ma le jeep ci aspettano.
Sergey si avvicina a me con uno sguardo serio. “Andrea, ma davvero vuoi scrivere un pezzo su di me?”. Forse pensa che volevo prenderlo in giro.
“Puoi scommetterci!”, rispondo.
“Beh, grazie!”
Non c’è di che.
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
1 Comment
Immagini splendide.
Complimenti.
Sto programmando ,incrocio le dita,un viaggio in quel deserto.
Saluti.
Domitilla