Il 14 dicembre 2024 Farm cultural Park inaugurerà la mostra “Varanasi, a Journey into the Infinite”, nel suggestivo scenario di Villa Genuardi, ad Agrigento, all’interno del parco della Valle dei Templi. Tre padiglioni immersivi in cui il visitatore potrà passeggiare tra le strade di Varanasi, incontrarne i pellegrini, bagnarsi idealmente con loro sulle sponde del Gange.
È con grandissima gioia che ho messo a disposizione i miei scatti e che ho risposto alle domande del giornalista Alessandro Cacciato.
Nei miei viaggi mi piace visitare luoghi remoti, angoli di mondo che mi sono alieni e sconosciuti. So che è lì che sarò sfidato a superare i miei limiti. Le mie foto e i miei racconti di viaggio riportano la crisi che attraverso e il modo in cui tento, se posso, di risolverla dentro di me. A volte la sfida è puramente climatica, come in Dancalia, che ho visitato quando le temperature diurne raggiungono i 50 gradi e le notti non rinfresca oltre i 35.
Varanasi mi ha messo alla prova da un punto di vista diverso: è famosa per essere la città dei morti e ne avevo avuto racconti divergenti da parte di amici che l’avevano visitata prima di me. Volevo scoprire cosa avrei provato a guardare la morte per le strade, trovandomi faccia a faccia con la perdita per eccellenza – quella della vita propria o dei propri cari. Sarei stato capace di trovare un posto dentro di me in cui collocare questo aspetto così terribile dell’esistenza? Mai avrei pensato di trovarmi invece davanti a tanta vita e vitalità!
Io non cerco di trasmettere niente. Apro i miei sensi e capto. Non è compito mio imporre una narrazione mentre scatto. Però sono convinto che riusciamo a vedere fuori solo quello che abbiamo dentro. Quindi in un certo senso, la Varanasi che ho restituito è la “mia” Varanasi, quella che ha fatto vibrare le mie corde. Ho un’educazione cattolica che mi ha lasciato una visione un po’ manicheista del mondo. Divido le cose in un sistema duale, anche senza volerlo, inconsciamente. Ma Varanasi non funziona in questo modo! C’è uno scatto in cui due pellegrini fanno le abluzioni nel Gange. Il primo è assorto in contemplazione, la sua immagine parla di spiritualità e ascensione. Accanto a lui, un altro giovane prega, le mani giunte al petto e l’espressione seria, ma i capelli sono ricoperti di schiuma di shampoo. D’istinto, sono portato a credere che il pellegrino senza shampoo sia più devoto dell’altro. Ma è davvero così? Ecco, Varanasi mi ha regalato questo tipo di riflessioni, perché mescola le carte in continuazione. Forse per questo alcuni la trovano insopportabile. Toglie ogni certezza intellettuale. L’India devi saperla vivere di pancia, o il rifiuto scatta in automatico.