Munnar è la prima tappa del mio viaggio in Kerala, la suggestiva regione del sud-ovest indiano tanto amata dai turisti di tutto il mondo. Sono arrivato qui dopo un intenso soggiorno in Tamil Nadu e non vedo l’ora di rilassarmi: mi aspettano splendide piantagioni di tè, esotiche riserve naturali e il paradiso acquatico delle backwaters costiere.
“The road is winding, we must be careful and drive slowly”. Di solito non soffro il mal d’auto, quindi presto poca attenzione alle parole di Pandi, il mio angelo custode indiano. Capirò presto, nelle lunghe ore a seguire, che la mia vita dipende da quanto rapidamente sa sterzare il volante.
Le strade che portano a Munnar si inerpicano sulle pendici dei Ghati orientali e sono piene di tornanti tortuosi. Questo, tuttavia, non rende più cauta la guida delle vetture che vi transitano: le innumerevoli curve a gomito e i vertiginosi strapiombi che separano il Tamil Nadu dal Kerala non sembrano rallentare i motorini carichi di galline, i camion gonfi di ortaggi e verdure, i carretti guidati dai risoluti asini e le mucche solitarie sdraiate su queste strade di montagna. I miei occhi sgranati osservano il loro accavallarsi disordinato, fatto di sorpassi audaci e incidenti sfiorati. A quanto pare, i tesori del Kerala sono riservati a chi ha i riflessi rapidi e il cuore forte.
A metà strada, Pandi ha pietà del mio faccino livido e mi concede una piccola sosta per riprendere fiato. Siamo ad Usilampatti, mi spiega, a metà strada tra Madurai e Peryiar.
In quest’area, grazie alle caratteristiche del terreno, sorgono diverse fabbriche di mattoni artigianali. Visitarne una è un’esperienza fantastica, che merita davvero qualche ora di tempo. Personalmente ne sono rimasto così affascinato che ho voluto approfondire l’argomento: ho scoperto che la produzione dei mattoni è una realtà sociale indiana dai risvolti controversi, quindi ho deciso di scriverne dettagliatamente qui.
L’ultimo tratto di strada per raggiungere Munnar è un’acrobazia continua. Nemmeno lanciarmi col paracadute mi ha spaventato tanto! Quando arriviamo in albergo, mi butto sul letto con lo stomaco ancora sottosopra e ringrazio Shiva, Gesù e Buddha. È evidente: solo il loro lavoro congiunto mi ha portato a Munnar sano e salvo!
Munnar è la prima boccata di aria fresca che respiro da quando ho messo piede nell’assolato sud indiano.
Proprio grazie alle sue gradevoli temperature estive, la cittadina è stata in passato la residenza estiva del Governo Britannico. Oggi, l’atmosfera bucolica delle dolci colline che la circondano e le spettacolari piantagioni di tè, curate come siepi da giardino, fanno di Munnar una delle località più visitate dai turisti di tutto il mondo e la città si è ben attrezzata per fornire loro ogni genere di comodità: resort di lusso, trekking guidati, centri di massaggi ayurvedici (rispetto a questi ultimi, approcciatevi con cautela: si tratta di massaggi molto energici e, nella mia esperienza, davvero poco rilassanti).
Munnar è situata nell’entroterra del Kerala, sui monti Ghati, e il suo nome significa “tre fiumi”, perché è sorta nell’area di confluenza del Mudhirapuzha, Nallathanni e Kundali.
Riservo un giro veloce e poco interessato alla cittadina, che di per sé è abbastanza anonima e sciatta. Negozi di souvenir turistici, cioccolato e tè sono un divertente passatempo, ma preferisco salire sui due promontori cittadini, su cui campeggiano una moschea e una chiesa cattolica. Sembrano osservarsi con una insolita benevolenza.
Il Kerala è infatti lo stato indiano con la maggiore presenza di culti non induisti. Il 20% degli abitanti è cristiano e un altro 25% è musulmano. Sono numeri importanti, se si considera che, prendendo l’India nella sua interezza, questa percentuale scende al 2,3% per i cristiani e al 13% per i musulmani.
Ne La Speranza Indiana, Federico Rampini scrive che il Kerala è un grande esempio di tolleranza religiosa, a dimostrazione del fatto che “la migliore cura contro l’intolleranza sta nell’aumentare la diversità delle fedi, non nel diminuirla”. L’alto tasso di istruzione del Kerala sembra contribuire a questa pacifica convivenza.
Ma veniamo al motivo che porta a Munnar viaggiatori da tutto il mondo: la deliziosa vista dei rilievi montuosi circostanti. Ovunque lo sguardo spazi, si dispiegano curatissime piantagioni di tè e migliaia di sentieri sterrati vi si snodano dentro, come un invito a percorrerli tutti.
Prenoto un trekking alla reception dell’albergo: è infatti obbligatorio rivolgersi ad un guida locale, dal momento che le coltivazioni di tè sono proprietà privata e non è consentito transitarvi senza permesso.
Siamo a circa 1600 metri sopra il livello del mare: quelle di Munnar sono le piantagioni da tè più alte del mondo e le più vaste del sud indiano.
È stato un colone inglese, un tale di nome John Daniel Munro, ad arrivare qui nel 1857 e a decidere di convertire queste colline all’agricoltura. La sua fu un’impresa tutt’altro che facile: l’area era infatti sotto la giurisdizione di Travanocre, ma di proprietà della famiglia reale di Poonjar. Quando riuscì ad affittare le terre dal Raja, venti anni dopo, Munro vi piantò tè, caffè e cardamomo.
Le terre passarono poi di gestione in gestione e la coltivazione del tè divenne gradualmente predominante. Nel 1964 subentrò il gruppo Tata, un vero colosso industriale, che gestisce ancora oggi la maggior parte delle piantagioni.
La coltivazione del tè è una parte così essenziale dell’identità di Munnar che qui è sorto il primo Museo del Tè dell’intera India: vi si trovano documenti accurati sui processi di coltivazione tradizionali e foto d’epoca molto suggestive.
La guida che mi accompagna tra le piantagioni parla un inglese straordinariamente chiaro: nulla a che vedere con le frasi biascicate a cui mi ha abituato il Tamil Nadu.
“Il tè è senza dubbio la bevanda più diffusa al mondo”, declama. “La pianta del tè ha natali asiatici: le tre principali varietà sono infatti originarie della Cina, della Cambogia e dell’India. Le nostre piante sono più basse di quelle cinesi e la loro vita è più breve, ma il profumo del nostro tè non ha pari al mondo”.
Lo sterrato si snoda come un serpente ancheggiante lungo il declivio della collina e la guida mi indica un punto in lontananza che raggiungeremo per l’ora di pranzo. “Ogni coltivatore qui gestisce un piccolo appezzamento. Alcuni devono camminare molto prima di raggiungere la loro postazione di lavoro. È un lavoro faticoso: ecco perché la cooperativa riserva le aree che costeggiano la strada alle persone più anziane e fragili”.
Oggi non sembra essere una giornata di lavoro intenso. È l’inizio di gennaio, la cittadina ha festeggiato da poco il Natale e il capodanno. In lontananza, scorgo una donna che pota gli alberelli di tè con una grossa cesoia dentata, a cui è attaccato un grosso sacco per raccogliere il bottino.
“Non fotografate le persone prima di chiedere il permesso”, avvisa la guida. “Molti lavoratori non vogliono essere molestati.” La signora in questione, al contrario, non sembra infastidita dalla mia macchina fotografica. Mi saluta, sorridente, e mi fa cenno di avvicinarmi.
“Io non ho problemi con le foto”, mi dice subito. “Alcuni non amano farsi fotografare. Sono foto che spesso finiscono sulle riviste di viaggio e non vogliono essere sfruttati senza essere pagati. A me non importa, puoi fotografarmi”.
La donna sta lavorando a pochi minuti a piedi dalla strada e mi domando quale sia la sua fragilità. Come se mi leggesse nel pensiero, mi confida di essere malata di tumore. Non so se mi racconta una frottola per avere una mancia o sia solo in vena di confidenze. Nell’imbarazzo del momento, aspetto che mi faccia capire se vuole qualche moneta per le foto che le ho scattato, ma lei mi saluta e torna a lavorare concentrata. A volte, nel dubbio, aspettare senza prendere una decisione è la soluzione migliore.
“Si tagliano solo le foglie tenere”, prosegue la guida che ha ripreso il cammino verso la cima. “Sono le migliori in quanto a proprietà aromatiche”. Mi fermo per scattare delle foto ai magnifici panorami. “La settimana scorsa degli elefanti si sono spinti fin qui in cerca di acqua. Hanno trovato delle bottiglie di liquore lasciate dai lavoratori. Le hanno bevute e si sono sbronzati! La mattina li hanno trovati ancora ubriachi, sdraiati in mezzo ai sentieri qui intorno”.
È una giornata serena, il sole splende senza bruciare e le ore di trekking trascorrono veloci tra racconti e vedute mozzafiato. Ci fermiamo per pranzo su un promontorio che offre un’ampia vista sulle colline di Munnar.
Sono talmente affascinato da questo giovane che ci conduce e intrattiene con tanto garbo, che decido di conoscerlo meglio. Mi spiega che lavora come guida per mantenersi gli studi e che mette i soldi da parte per la dote della sorella.
In India, infatti, è tradizione che le giovani donne portino in dote allo sposo una ingente quantità di beni. Benché questa pratica sia oggi illegale, è ancora molto diffusa e maritare una figlia femmina è uno sforzo economico davvero gravoso. Ho approfondito il tema della condizione femminile in India durante il mio soggiorno a Madurai e devo dire che alcuni aspetti sono davvero sconcertanti.
Chiedo alla guida se sua sorella è stata già promessa a qualcuno e se ha potuto scegliere il futuro marito. Gli indiani che lavorano nel settore turistico sanno che noi occidentali guardiamo con disapprovazione ai matrimoni combinati e non voglio creare conflitti culturali, ma sono davvero curioso di sapere cosa ne pensi un ragazzo così giovane e acculturato.
“Mia sorella è felice che i miei genitori scelgano al posto suo”, sentenzia con una punta di acredine. “Non volevo essere inopportuno, né giudicare”, mi affretto a dire. “Vorrei solo capire meglio”.
“Voi scegliete da soli chi sposare, ma tantissime persone poi divorziano. Quindi, scegliere da soli non significa sempre scegliere bene. Noi ci fidiamo dei nostri genitori: loro ci conoscono e sanno cosa è meglio per noi”.
“Ma come ci si può sposare senza amore?”, domando con estrema cautela.
“L’amore è un sentimento effimero. Oggi lo si prova, domani no. La stima e l’affetto invece crescono con il tempo, man mano che ci si conosce.”
Ho sempre considerato l’amore romantico un dogma intoccabile, quindi faccio fatica a capire. L’idea stessa di un matrimonio combinato mina alla radice ogni anelito di autodeterminazione. Come fanno gli indiani ad accettarlo?
“Per noi occidentali”, spiego al mio nuovo amico, “due persone si sposano solo se innamorate. Sin da bambini ascoltiamo favole in cui una principessa sposa un principe azzurro coraggioso che l’ha salvata da un maleficio. Per noi è difficile immaginare una vita felice senza avere incontrato il vero amore. Quali sono le favole che si raccontano in India ai bambini? Non parlano di amore?”
“No”, risponde. “Le nostre favole parlano di persone povere che lottano per avere qualcosa da mangiare e che alla fine riescono a sfuggire alla miseria”.
Effettivamente ha senso: in una società colpita dalla piaga della povertà, il primo pensiero di una mamma è scegliere un marito che strappi sua figlia dall’indigenza. Allo stesso tempo, dal momento che la famiglia del marito accoglie la futura sposa in casa e si impegna a sfamarla per tutta la vita, chiede in cambio una dote che compensi questo sforzo economico.
Sono dinamiche che un Occidente iper-sviluppato non riesce a comprendere di primo acchito. Siamo davvero fortunati a crescere pensando di poter decidere interamente del nostro destino, anche se questo ci porta a volte ad inseguire ciecamente il “sogno americano”, fatto di carriere sempre in affannosa ascesa, accumuli di ricchezze fini a se stesse e una frustrante sequenza di relazioni affettive usa e getta. Perché essere liberi di scegliere non significa sapere cosa sia meglio, ma poter tentare varie strade per scoprirlo, commettere errori, conoscerci meglio.
Quando il trekking giunge al termine, saluto la guida e le piantagioni con gratitudine. Viaggiare è uno strumento eccezionale per riflettere e imparare.
ciao! grazie per il racconto della tua bellissima esperienza, ti ricordi per caso il nome delle piantagioni che sei andato a visitare?
No, mi spiace. Ho prenotato il tour dal mio albergo, che era il Green Valley Vista di Munnar.
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4 Comments
Le tue foto fanno vivere i tuoi racconti! Andrea sei il TOP!!!!!!
Bellissimo! Come sempre anche se in questo articolo ho apprezzato particolarmente lo stile di alcune sue parti. Bravo!