Madurai è una destinazione imprenscindibile per chi visita il Tamil Nadu: non solo perché è geograficamente al centro di ogni percorso che decidiate di intraprendere nel sud dell’India ma soprattutto perché ospita il Meenakshi Amman Temple, uno dei templi più belli di tutta la regione e l’unico che sia davvero vietato fotografare.
Il Tamil Nadu ruota attorno a due poli propulsori: Chennai, che ne è l’attuale capitale e sfoggia strade caotiche, quartieri alla moda e alcuni tra i migliori ristoranti dell’India del sud, e Madurai, uno dei centri urbani più antichi di tutta l’India e cuore pulsante della cultura Tamil già molti secoli prima che Chennai fosse fondata.
Il suo nome significa “città del nettare” per via di una leggenda che narra che Shiva avesse sparso sulla città gocce di nettare divino dalle sue chiome. Soprannominata affettuosamente “Atene dell’est”, la città esisteva già nel III secolo a.c. ed era un polo commerciale attivissimo, in contatto persino con Roma.
Tutte le principali dinastie indiane la governarono, accrescendo il suo predominio a livello politico e culturale, fino all’arrivo degli inglesi nel 1840, quando la Compagnia delle Indie rase al suolo il forte di Madurai, spazzandone via i fossati difensivi e cambiando così il volto della città vecchia.
Madurai oggi è famosa soprattutto per il Meenakshi Amman Temple, uno dei più grandi templi di tutta l’India, che la rende un’importante meta turistica; ma è anche una tipica metropoli indiana, con un’economia basata sempre di più sull’informatica e sulla produzione di tecnologie avanzate.
Ed è proprio questo il primo aspetto che mi colpisce quando metto piede in città. È il primo gennaio e il pomeriggio è caldissimo. Le strade sterrate che portano al tempio pullulano di vita: tra le bancarelle dell’immancabile street food locale e le mucche che passeggiano indisturbate, il mio sguardo viene catturato da una saracinesca di un negozio chiuso da chissà quanto tempo.
La serranda abbassata crea una nicchia contro il muro e un venditore ambulante vi ha ammassato sopra centinaia di libri, tutti ordinatamente impilati. Quando mi avvicino per vedere di cosa si tratti, mi accorgo che sono tutti manuali di informatica, scritti rigorosamente in lingua inglese.
Con la forza lavoro più giovane al mondo, l’India è anche il secondo paese più popoloso dopo la Cina (ma il sorpasso è solo questione di anni) e da alcuni anni sede delle più importanti multinazionali di informatica e di servizi legati allo sviluppo di tecnologie avanzate.
La vendita di libri di informatica nelle bancarelle di strada non dovrebbe quindi meravigliarmi. E il giovane sorridente che ne sta sfogliando alcuni è il nuovo volto dell’India, un paese pieno di speranze, che si appresta di diventare una delle più grandi potenze economiche del pianeta. La desolazione senza speranze che Pasolini aveva descritto negli anni 60 fortunatamente non esiste più.
Il Meenakshi Amman Temple è considerato la più perfetta espressione dell’architettura sacra del Tamil Nadu e viene tenuto nella stessa considerazione riservata al Taj Mahal nell’India del nord. Più che un semplice tempio del XVII secolo, è un complesso di oltre 6 ettari di terreno circondato da mura di protezione e con diversi santuari al suo interno. Mentre la maggior parte dei templi hanno solo 4 gopuram (torri di accesso), il Meenakshi Amman Temple ne ha ben 12, tutte finemente decorate con oltre 30.000 statue dipinte di divinità sacre. Una visione impareggiabile che vale da sola una visita a Madurai!
Prima di accedere al tempio, la guida ci porta in un negozio di artigianato locale. “Non dovete comprare niente, se non volete. Ma dovete lasciare qui tutte le vostre cose: le scarpe, gli zaini, lo smartphone e la macchina fotografica”.
Legge sui nostri volti sguardi preoccupati: ci sta chiedendo di metterci nelle mani di uno sconosciuto.
“La mia attrezzatura fotografica vale migliaia di euro”, gli dico sottovoce. “Possiamo fidarci?”
“Sì. Se volete entrare al tempio, dovete lasciare tutto qui. Se ne prenderà cura il negoziante fino al nostro ritorno”.
Lasciamo le nostre cose dietro il bancone, alla rinfusa, e ci avviamo scalzi al tempio. La strada è sporca come solo le strade dell’Asia sanno essere. Scansiamo una cacca di mucca qua e una pozza di acqua putrida là. Il tempio è a pochi centinaia di metri, ma noi contiamo i singoli passi cercando di arrivare il più puliti possibile.
Non avrò nessuna foto del tempio più bello del Tamil Nadu, questo è l’aspetto che mi dà più noia.
All’ingresso veniamo perquisiti con attenzione. “C’è stato un piccolo incendio qualche mese fa. Un visitatore ha usato una presa volante per ricaricare il suo smartphone e c’è stato un cortocircuito, quindi adesso è vietato introdurre qualsiasi oggetto elettronico”, mi spiega la guida.
Il primo ambiente cui accediamo è la Sala delle 1000 colonne (in realtà sono 986).
“Il tempio Meenakshi è stato originariamente costruito in legno di teak oltre 2.000 anni fa, ma è stato ricostruito nella sua forma attuale nel XVII secolo”, inizia a istruirci la guida. “Le statue un tempo erano bianche, ma dagli anni 50 vengono dipinte di colori sgargianti. Le intemperie tendono a sbiadire i colori, quindi ogni 12 anni vengono ridipinte grazie alle offerte dei fedeli. La prossima manutenzione sarà nel 2021.”
“Il tempio è dedicato a Shiva, a cui è riservato il santuario centrale, e alla sua sposa Parvati, che viene venerata qui nelle vesti di Meenakshi”.
Non è affatto insolito nella religione induista che una divinità assuma forme diverse e che queste siano tutte venerate allo stesso modo. Nel caso specifico, Parvati aveva altre sembianze prima di sposare Shiva, quelle appunto di Meenakshi, una dea guerriera con tre seni e gli occhi da pesce.
La leggenda narra che la giovane guerriera avrebbe perso un seno quando avesse incontrato il vero amore, cosa che accadde al suo incontro con Shiva, che ne fece la sua sposa.
“Perché aveva gli occhi di pesce?”, chiedo.
“Gli occhi di un pesce sono perfetti: non hanno palpebre e sono sempre aperti. Meenakshi vede tutto”.
Ci fermiamo davanti alla Santuario del toro Nandi. È il toro sacro, il mezzo di trasporto di Shiva, che simboleggia forza e purezza. “Se avete delle richieste o dei segreti, raccontateli al toro. Sarà lui a riferirli a Shiva”, dice la guida.
Passeggiamo lungo un ampio porticato, che circonda la vasca centrale (presente in tutti i templi induisti). Quella del Meenakshi Temple è chiamata Vasca del Loto Dorato ed ha dimensioni davvero ragguardevoli: 50 metri x 37 metri. Qui vengono i fedeli ad immergersi per purificarsi: si stima un afflusso di circa 15.000 visitatori al giorno!
In fondo, oltre il tripudio di statue, sculture e fregi che ci ubriaca i sensi, si trovano il santuario dedicato a Shiva e quello dedicato a Parvati. Entrambi sono accessibili solo agli induisti.
“Ogni sera, alle 21”, prosegue la guida “si tiene una processione che porta il lingam di Shiva nel santuario di Meenakshi. Gli sposi possono così dormire insieme. Ovviamente Shiva si ferma prima davanti al santuario di Ganesh, per dare la buona notte a suo figlio. Al mattino, Shiva torna nel suo santuario, di nuovo pronto ad accogliere i fedeli”.
La guida ha gli occhi trasognati. Si vede che è un devoto e, infatti, sta per iniziare una manovra di indottrinamento nei nostri riguardi! “Pregate Shiva e Parvati per risolvere i problemi in famiglia. Loro esaudiranno i vostri desideri! Guardate me: ho pregato tanto e loro mi hanno benedetto! Parlo bene tre lingue straniere”, dice al colmo della vanità, “e soprattutto ho 3 figli maschi. Fortunatamente, non ho avuto figlie femmine”.
Ciò che sconcerta è la serenità con cui la guida, di sicuro appartenente alla fortunata classe dei bramini, asserisce la sua verità. In India, ed in modo particolare in Tamil Nadu, nascere donne può equivalere ad una sentenza di morte. Si calcola che, nell’arco di tre generazioni, 50 milioni di femmine siano state abortite o uccise nella culla da genitori che non le volevano.
Per non parlare delle secondogenite: per loro è stato coniato un termine apposito, “destinate alla fossa”. Se una famiglia ha accettato il fardello di allevare una bambina, l’arrivo di una seconda femmina può diventare infatti un peso insostenibile.
Tutto ruota intorno alla tradizione della dote, che sebbene sia illegale, è ancora diffusa e praticata. Al momento di maritare una figlia, infatti, la famiglia deve consegnare una cospicua dote al marito che la accetta nella sua famiglia. Inoltre, la sposa accetta che questa dote sia riservata esclusivamente agli eredi maschi, rinunciando ad ottenerne una parte per sé qualora fosse ripudiata.
Pregare Shiva di non avere figlie femmine equivale a chiedere di non avere una vita di stenti nel tentativo di accumulare la dote.
La visita al tempio di Meenakshi termina dopo circa un’ora di spiegazioni: la luce pomeridiana valorizza l’architettura rifinita e la volumetria degli migliaia di statue e fregi che rendono questo tempio in assoluto il mio preferito. Non ho potuto scattare foto, se non all’esterno. Spero che la memoria sappia trattenere immagini vivide di questa grande meraviglia del mondo.
Dopo una cena in un ristorante sul tetto con una vista incantevole, mi perdo per le strade di Madurai. Pullulano di vita. Qui riesco a giocare con la macchina fotografica e dedicarmi un po’ alla street photography. Tra passanti sorridenti, bancarelle e mucche coccolate dai residenti, Madurai mi regala un’immersione nella vivace vita notturna della città.
L’India è il paese dei balocchi per ogni fotografo: la mia presenza non solo viene tollerata di buon grado, ma vengo quasi festeggiato da ogni persona che incontro. Un’accoglienza che resta vivida nel mio cuore e mi spinge a desiderare di tornare in India altre dieci, cento, mille volte ancora.
La mattina seguente faccio visita al palazzo reale costruito dal re Tirumala Nayaka nel 1636. Si tratta di un palazzo di grandissima rilevanza architettonica perché esprime l’apogeo dello stile ibrido dravidico-islamico. Si entra pagando un biglietto di ingresso di 50 rupie e si può passeggiare lungo gli imponenti colonnati, sostare nel cortile e nella sala del trono, con la sua cupola alta 25 metri, e godere di alcuni degli stucchi più belli della regione. Purtroppo solo alcuni ambienti sono sopravvissuti al trascorrere del tempo, ma valgono comunque una veloce visita.
Poco distante vi sono il Gandhi Memorial Museum, che però ho trovato chiuso, e il Madurai Government Museum. Ho trovato quest’ultimo davvero poco interessante: un’accozzaglia di reperti accumulati senza un ordine logico che non valgono il prezzo del biglietto (5 rupie per gli indiani e 100 per i turisti stranieri!).
È tempo di abbandonare il Tamil Nadu, i suoi santuari scavati nella roccia, i trascorsi coloniali, i gopuram che svettano sui profili cittadini. Mi aspetta una nuova avventura: le rilassanti backwaters del Kerala!