“Alziamoci e siamo riconoscenti, perché se non abbiamo imparato molto oggi, almeno abbiamo imparato qualcosa, e se non abbiamo imparato qualcosa, almeno non ci siamo ammalati, e se ci siamo ammalati, almeno non siamo morti; quindi, siamo tutti riconoscenti.”
– Buddha
“A che ora si alzano i monaci di mattina?”, chiediamo al ragazzo alla reception.
“Di mattina, sì”, ci risponde. “Ma a che ora?”, insistiamo.
“Domani, sì”.
Come spesso ci accade, qui in Cina la domanda e la risposta si cercano senza incontrarsi. Decidiamo quindi di alzarci prestissimo e di incamminarci verso il tempio, sperando di avere fortuna.
Nelle zone di montagna, dove il terreno è roccioso e spesso ghiacciato, i monaci non seppelliscono i morti ma li offrono agli avvoltoi, che se ne nutrono. La cerimonia si chiama Celestial Burial ed è proibito l’accesso ai visitatori. Ciò nonostante, fantastichiamo di potervi assistere. Vado a dormire pensando alla morte: c’è una straordinaria e cupa bellezza nell’idea di consegnare il proprio cadavere come pasto di vita per altre creature.
Alle 4.30 siamo già in strada. Il silenzio della notte ci avvolge ma non siamo soli. A gruppi di due o tre, i monaci escono di casa alla spicciolata e svoltano al primo vicolo. Decidiamo di seguirli. Li osserviamo radunarsi in un edificio illuminato a lato del monastero: si siedono ordinatamente e iniziano a meditare. Disturbati dalla nostra presenza o forse solo dalla temperatura rigida, chiudono la porta e ci lasciano fuori, delusi e al buio. Aspettiamo. Dopo una decina di minuti, un monaco esce e si dirige verso un capanno. Prepara del tè sul fuoco, poi torna dagli altri e lo versa ai compagni. Di nuovo chiudono la porta.
Sta albeggiando e decidiamo di raggiungere il tempio. Subito notiamo fedeli di ogni età camminare intorno alle mura: il “kora” è una forma di meditazione molto diffusa nel buddismo tibetano. Dopo ogni giro, i fedeli si fermano a baciare la porta del tempio.
Camminiamo con loro. Nessuno ci presta attenzione, tranne un gruppo di vecchietti, seduti su una panchina. Osservano il kora degli altri e danno il loro contributo pregando con una piccola ruota della preghiera e con degli akshamala (rosari tibetani).
Alle spalle dell’edificio, sorge la scuola dei monaci. Sul muretto, troviamo centinaia di sassolini e grossi semi. Non capiamo a cosa servono finché non notiamo che, dopo ogni giro, le persone ne spostano uno. Sono akshamala improvvisati per tenere il conto dei giri effettuati.
Mi commuove pensare che tutta la fatica e la dedizione che vedo non sono rivolti ad un Dio per richiederne il favore ma sono un atto di volontà pura, un allenamento alla gratitudine per ciò che la vita ci ha donato.
Essere grati e essere gentili sono i capisaldi del buddismo, insieme alla comprensione della sofferenza umana radicata nell’attaccamento. La felicità è una responsabilità personale. Ed è connessa al non nuocere agli altri, perché tutto gira nella ruota del Karma. Ciò che facciamo agli altri, tornerà a noi presentando il conto.
Dopo esserci riempiti gli occhi e lo spirito del kora, ci allontaniamo dal tempio. Sentiamo un brusio in lontananza: incuriositi, andiamo a vedere di che si tratta. Un gruppo di monaci si è radunato sotto una veranda e recita dei mantra. Restiamo ad ascoltarli, con il vuoto nella mente e la pace nel cuore. Che privilegio. In momenti come questo, penso alla mia vita e mi sento benedetto.
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
2 Comments
Che bello viaggiare e conoscere altre realtà 🌿🌞
Meraviglia 😍