Le carovane di dromedari che sfilano al tramonto in Etiopia, con il loro prezioso carico, e i minatori che spaccano il terreno a zolle nella piana del sale sono una delle realtà sociali più interessanti di tutta la Dancalia. E non si può assistere a questo spettacolo senza tempo senza partecipare alla fatica e al caldo che la Dancalia impone a tutti i suoi visitatori.
“Acqua! Per favore! Acqua!”
Ho appena aperto lo sportello della jeep. Una folata di vento caldissimo mi colpisce il viso. Sono le 13 e il sole picchia alto nel cielo. Capisco che ho sempre usato a sproposito il superlativo assoluto “caldissimo”, ma stavolta credo di averne afferrato il significato.
Il ragazzo che ha lanciato la supplica avrà 18 anni. Prendo la mia bottiglia d’acqua e gliela porgo. Quasi vorrei scusarmi perché in macchina avrà raggiunto i 50 gradi. Il sorriso del ragazzo mi fa capire che non si aspettava acqua di frigo. Il caldo qui è così secco che non si suda. Si evapora. Il ragazzo invece è tutto bagnato, il sudore gli riga la fronte, la guance. Sembra uscirgli come lacrime dagli occhi.
La Dancalia è una depressione etiope una volta coperta dal Mar Rosso. Quando l’acqua si è ritirata, ha lasciato uno strato di sale profondo anche 800 metri. Ovunque l’occhio spazi, c’è sale.
Ad Ahmed Ela, nella piana del sale, la popolazione lavora tutto il giorno per spaccarlo in zolle e trasportarlo al villaggio per rivenderlo.
Appena mi allontano dalla macchina, altri ragazzi mi corrono incontro in cerca di acqua. Il nostro autista ci ha detto che è un lavoro ben pagato, il loro. Ha sparato la cifra di €30 al giorno. Non so se sia vero. I miei compagni di viaggio nutrono dubbi in merito, perché in relazione al costo della vita etiope con una paga simile si potrebbe fare una vita da sultano. Io mi domando per quale cifra resterei in questo inferno di sale.
Voglio fare delle foto, ma ogni passo è faticoso. Proseguo nella speranza che “magari mi abituo”. Tutto intorno, operosi e concentrati, i lavoratori fanno a brandelli il suolo e lo trasformano in soldi .
Mi avvicino a dei ragazzi, che sembrano fare il lavoro più pesante. Due di loro picconano a terra, mentre un terzo canta un motivo per cadenzare i loro colpi. Scagliano l’ascia con forza, fino a formare una grossa crepa. La misurano più volte. Quando è sufficientemente profonda, gli altri vi infilano dentro dei bastoni di legno e iniziano a fare leva sul terreno a intervalli regolari.
Alla fine riescono a sollevare una zolla di sale, ma la guardano sconsolati. È troppo piccola per essere lavorata. Devono spostarsi di qualche metro e ricominciare daccapo.
Gli uomini e gli anziani sono accovacciati a terra. Prendono le zolle e le trasformano in parallelepipedi perfetti. Riescono davvero a farli tutti uguali.
Una volta pronte, le mattonelle di sale vengono caricate sui cammelli. La carovana impiega ore a tornare al villaggio. Al tramonto, i cammelli sfilano decorando il panorama. È uno spettacolo che toglie il respiro: si ripete ogni giorno da secoli e poterne godere mi fa sentire onorato.
A sfidare l’antica tradizione, rendendo tutto meno poetico ma assai più semplice, ci sono anche i camion da trasporto. Il mio occhio da fotografo ne soffre, ma non posso che essere felice nel sapere che questi ragazzi saranno presto a casa, senza dover affrontare una lunga traversata.
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2 Comments
Ho letto l’articolo Andrea… Sempre interessante e pieno di sentimenti buoni…. Un abbraccio e…. Continua così 🤗🤗😘😘
Il tuo articolo è una bellissima narrazione, piena di umiltà e umanità che sempre ti ha contraddistinto ❤️Un carissimo saluto! 💞💕💋